Camon - Filippo Cerantola
Non è certo facile scrivere di Ferdinando Camon, anzi sono dell’opinione che sia particolarmente difficile, perché non è un autore monotematico, ma un attento osservatore della società e del suo divenire che analizza in modo accurato, ritraendo quadri letterari che sono sostanzialmente la realtà. Ci ha provato Filippo Cerantola con questo suo Camon, un lavoro che mi è sembrato molto ben realizzato, volto a proporre al lettore un’immagine completa di uno dei maggiori autori della nostra letteratura e credo che anche lo stesso Camon sia d’accordo sul buon risultato dell’opera.
In 288 pagine c’è tutto, proprio tutto, esposto in modo organico e razionale, la sua vita, i suoi rapporti con gli altri, il suo pensiero politico, l’analisi della sua produzione letteraria distinta in Ciclo degli ultimi, Ciclo del terrore e Ciclo della famiglia, i numerosi articoli pubblicati su diversi giornali.
Proprio per quanto concerne i romanzi e anche le poesie ho notato, con piacere, che il giudizio, sia pur necessariamente abbastanza sintetico, è tuttavia esaustivo, a tutto vantaggio ovviamente di chi legge che così può avere una visione completa di tutte le sue opere, tale da comprendere la grandezza del loro autore, ma anche da invogliarlo a procedere alla loro lettura.
Per quanto i libri dei singoli cicli siano rappresentativi delle realtà di una società in evoluzione (basti pensare a Occidente, con la tematica del terrorismo che ha insanguinato a lungo l’Italia) e dunque siano tutti estremamente interessanti, compreso quello della famiglia, così cambiata negli anni, credo che Ferdinando Camon sia più noto per i suoi romanzi del Ciclo degli ultimi (Il Quinto Stato, La vita eterna, Un altare per la madre, Mai visti sole e luna, La mia stirpe). Lì si parla di una civiltà millenaria scomparsa in pochi anni, un mondo che era tutto a sé, fatto di miseria, di superstizioni, ma anche di reciproco soccorso, laddove la civiltà contadina per uno nato oggi sarebbe del tutto incomprensibile. Il tema è particolarmente sentito da Camon perché lui era parte di questa civiltà, figlio di contadini viveva in campagna, e quindi ne ha conosciuto i riti, è stato testimone della sua arretratezza, ha provato sulla sua pelle la sofferenza di essere contadino. Ed è stato proprio Il Quinto Stato il libro che lo ha fatto conoscere ai lettori, un volume che ha beneficiato della prefazione di Pier Paolo Pasolini, suo grande estimatore. Sono poche righe, due paginette sul cui contenuto tuttavia lo scrittore padovano dissente; all’epoca non si oppose, vista anche la notorietà del prefatore, ma in seguito, ripensandoci, si accorse che l’immagine che Pasolini aveva ritratto era di una civiltà sì morta, ma a cui era auspicabile tendere di nuovo, considerandola una sorta di Arcadia. Invece, il mondo contadino si estrinsecava in una situazione statica, in una vita di autentica sofferenza per una miseria atavica e che pareva irrimediabile; pertanto, secondo Camon, era più che giusto che finisse, demolito dall’industrializzazione e dal consumismo, grazie ai quali tanti miserabili potevano accedere a un po’ di benessere e a un’esistenza più dignitosa, ma come sempre capita laddove prevale il denaro si perdono i sentimenti, gli unici pregi fra tanti difetti. Al riguardo mi sovvengo di una frase che Ferdinando Camon inserì in una risposta all’intervista che gli feci l’8 maggio 2009 e che ha una valenza universale, essendo una gran verità: ”Il progresso ha un prezzo. È molto quel che guadagniamo, ma è molto quel che perdiamo. Io racconto quel che perdiamo. Sono un narratore parziale e limitato, lo so e lo dichiaro. Non sono un narratore del progresso, ma del prezzo del progresso.”.
Per quanto si tratti di saggistica, cioè di un lavoro di lenta assimilazione, mi sento di dire che Cerantola meglio non poteva fare, grazie anche allo stile snello e alla capacità di focalizzare rapidamente le tematiche, riuscendo a dire molto senza dilungarsi eccessivamente. Peraltro l’editore Apogeo ha corredato il libro di due scritti, uno del poeta e scrittore Gian Mario Villalta e l’altro del docente universitario e critico letterario Massimo Onofri, contributi importanti e autorevoli che lo impreziosiscono ulteriormente.
Non dico altro, meglio di me potrà dire la lettura di questo riuscito saggio.