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Gli ultimi messaggi del Forum

Nella grande pianura - Umberto Bellintani

Sarà forse un caso, ma in questa piatta pianura, vicino a un corso d’acqua di grande rilievo come il Po, secoli fa nacque un poeta che con la sua prima opera, Bucoliche, cantò di questa natura, ubertosa anche per l’abbondanza d’acqua del grande fiume e dei suoi affluenti; ebbene, dopo tanto tempo, e questa volta mi riferisco al secolo appena trascorso, è nato un altro artista che con i suoi versi rivela le stesse sensazioni ed emozioni. Diverso è lo stile, completamente difforme è la struttura, ma lo spirito che dà vita all’idea, che nobilita la creatività accomuna Umberto Bellintani a Publio Virgilio Marone. Entrambi hanno visto la luce fra due fiumi, per Bellintani il Po e il suo affluente Secchia, per Virgilio sempre il Po e il suo affluente Mincio.
Sono coincidenze che appaiono tanto più particolari ove si guardi al loro grande amore per la natura; ci troviamo quindi di fronte a poeti territoriali, benché Virgilio risulti indubbiamente padrone di una universalità, rara e e avvincente come poche, ponendosi su un altro livello, e con ciò senza togliere nulla alle indubbie qualità di Bellintani. I tramonti, con le prime ombre della sera che cala rasserenante, i lunghi silenzi, l’isolamento che consente la campagna sono tematiche che ricorrono nel poeta di San Benedetto, uomo che sente il respiro del fiume e della grande pianura e che ne reinterpreta le sensazioni che avverte il suo animo. Eppure, a fronte di tanta serenità, immancabile emerge il rapporto con la morte, lancinante ( Più d’una rete luceva sulle acque, / stillando il sole; di poi si sommergeva. / Ed era un giubilo d’allodole quando / al pescatore sotto riva emerse / il giovinetto da quel fondo, il corpo cereo. / Allora il pianto della madre ruppe in gridi / e quello muto d’altre donne dilagò / ed era greve. /….), o struggente ( Passo di viso in viso e ritrovo il fanciullo / che un crudo morbo mi tolse alla schiera / degli astuti nel gioco dei banditi. / Ha nelle mani il suo arco di robinia / ed è forato nel piede, mi conduce / sulla strada di un dolce ricordo. / / Ezio, mi senti? Sono io, / sono io qui venuto alla tua tomba / e t’ho portato un coccodrillo modellato / colle mani di allora. / / I veri amici sono morti ad uno ad uno / e chi da morte non mi chiama non ha il volto / che amavo, il volto dell’infanzia.) L’ultima poesia mi ricorda, per l’emozione che comporta, un’altra, a me particolarmente gradita, quell’Aquilone con la quale Giovanni Pascoli, nel cantare la morte giovinetto di un compagno, canta anche la morte della gioventù. Ebbene anche in Bellintani l’età, che tanti definiscono giustamente la più bella, non è vista con nostalgia o con rimpianto, ma solo come la fine definitiva di un periodo che infatti mai più potrà tornare.
Uomo di pianura, anzi della terra in cui affonda le radici per cercare se stesso, il poeta di San Benedetto è tuttavia capace di trasmettere in versi il respiro della natura, la forza arcana della stessa, in una visione arcaica che credo non abbia eguali nella poesia del secolo scorso. Però non mi si venga a dire che parla di un mondo che non c’è più, perché invece c’è ancora, all’apparenza mutato, ma il cui spirito permane, un soffio di esistenza che resiste alle barbarie umane, alle distruzioni scellerate, e che l’animo, aperto, spalancato del poeta chiaramente avverte e di cui dà contezza.
Ed ecco che allora si comprende che fil rouge ricorrente della morte non è altro che un aspetto del ciclo della vita con il quale si avvia il processo del ricordo, l’unico perché qualcosa resti di tutta un’esistenza.
Sono tante le poesie di questa raccolta, e del resto abbracciano un lunghissimo periodo di tempo, in una varietà di argomenti che se non stupisce almeno per certi aspetti sorprende. Ma su tutte è la natura che fa da padrona e ricollegandomi a quel fil rouge di cui ho accennato mi permetto di riportare l’ultima lirica, come definitive sembrerebbero le ultime volontà in essa espresse e che riassumono sì il pensiero di Bellintani, ma anche le caratteristiche di questa gente di pianura che vive accanto al grande fiume. Si intitola Anche per me quella bandiera: “ anche per me una bandiera rossa, / e un po’ di gente malvestita da Bardelle / venda da Brede, da Camatta, Pontevecchio / in bicicletta, con le brache di fustagno / lise e la vecchia mantellina di una volta. / Voglio morire d’inverno, in misura che l’uomo è sulla terra: / povera cosa, malcerta, non sicura / d’essere uno o nessuno , un topo o un gatto, / una ciabatta, un coccio nero di bottiglia / per l’altrui piede o per il proprio. / Anche per me dunque quella rossa / bandiera popolana. E in tutta fretta 7 mentre la neve sfarfalla il vento rigido / io sia calato nella fossa. Quando ritorni / alla sua casa ciascuno e all’osteria / per ricordarmi quel poco che mi basta / udirli ancora, un minuto prima che / morte completa mi abbia interamente. / Intanto dico che sarà per me un conforto / anzi una gioia sapermi con la povera / Tina Mazzali. Rammentatela. Vi prego.”.

Non credo sia necessario che aggiunga altro, perché Umberto Bellintani, come tutti i poeti, quelli grandi, deve essere solo letto, lasciandoci trascinare dal flusso di immagini e di pensieri che i suoi versì, così evocativi, sono lì in paziente attesa per essere colti.

Guerra di spie - Mimmo Franzinelli

Libro dopo libro non posso che apprezzare sempre di più questo storico in grado di rendere avvincente una materia, non di rado ostica, come la storia; le sue capacità di strutturare nel migliore dei modi i saggi che scrive consente di leggere con piacere senza nulla togliere alla necessaria completezza e obiettività. Anche nel nel caso di “Guerra di spie. I servizi segreti fascisti, nazisti e alleati 1939 – 1943” si riesce ad avere una visione completa e per niente superficiale di un’attività sempre presente in tempo di pace, ma ancor più intensa in caso di guerra. Il periodo di osservazione è invero limitato, ovvero fino all’armistizio del 1943, con i nostri Servizi Segreti ormai incapaci di entrare in questo gioco, soprattutto dopo il 25 luglio, quando non solo viene a mancare la figura istituzionale di Mussolini, ma anche chi gli succede, Badoglio e il suo governo, sembrano e sono incapaci di condurre con abilità l’uscita dalla guerra, tutti preoccupati di non far trapelare nulla ai tedeschi, i quali invece sono ben informati.
Il saggio è impostato logicamente in capitoli che non sono slegati fra loro, grazie all’ordine in cui sono esposti. Nel primo Franzinelli parla esaurientemente del SIM (Servizio informativo militare), nel secondo racconta dei tentativi degli alleati di introdurre agenti entro i confini italiani e di effettuare anche azioni di sabotaggio, con il terzo poi si descrivono le dinamiche all’interno delle organizzazioni spionistiche italiane, dei loro rapporti con il potere politico nel periodo che intercorre fra la fine della primavera del 1943 e il famoso 25 luglio con la caduta di Mussolini, senza tralasciare, anzi ben evidenziando il crescente sviluppo dei servizi segreti tedeschi già prima di questa data.
Come al solito le fonti sono numerose e riportate alla fine del saggio, che comprende, con finalità volte a consentire ulteriori approfondimenti, anche un “Dizionario spionistico” con schede che evidenziano le organizzazioni interessate, nonché figure dello spionaggio citate nel testo, i rapporti al Duce sullo spionaggio militare, una varietà di documenti relativi alla guerra segreta e a lettere scritte dal carcere.
Peraltro c’è un’ulteriore chicca, e cioè un inserto con le fotografie dei protagonisti di “Guerra di spie”, in alcuni casi nella loro duplice veste di arruolati con falso nome nei servizi nemici e di condannati a poche ore dalla loro fucilazione.
Sono sicuro che chi è interessato alla lettura avrà modo di soddisfare le sue curiosità e al termine sarà in grado di comprendere l’importanza di questa attività che, per ovvi motivi, soprattutto in tempo di guerra cerca di restare nell’ombra, sia che si tratti di spionaggio che di controspionaggio.

Cuore di cane - Michail Bulgakov

In realtà, ho poi comprato una copia del libro, perché preferivo averne una copia personale.
Bulgakov è un autore dalla fantasia fuori controllo, enormemente produttiva e frizzante. Non solo, questo racconto è geniale nella sua costruzione, ma in così poche pagine riesce a toccare un'enormità di tematiche e questioni da capogiro. Cuore di cane è sicuramente una critica e una polemica contro il tempo che Bulgakov si trovava a vivere, ma ci sono anche tematiche più universali, come quella della genitorialità, della nascita, del possesso, dell'identità. C'è tutto e di più, e probabilmente nemmeno io ho colto tutto.
In ogni caso qualcosa di eccezionale!

Il bambino di Salisburgo - Edgarda Ferri

Mi è venuta improvvisa la voglia di citare la Divina Commedia, laddove, nel Purgatorio, Virgilio si rivolge a Catone l’Uticense presentandogli Dante e gli dice “Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta” con riferimento al suicidio del politico romano, un atto estremo per non incappare nell’umiliazione di chiedere la grazia a Giulio Cesare.
Viene logico chiedersi che relazione ci sia fra un personaggio vissuto nel primo secolo avanti Cristo e il grande musicista austriaco che consumò la sua breve esistenza nella seconda metà del diciottesimo secolo.
Una risposta esauriente si può trovare nella bellissima biografia scritta da Edgarda Ferri, che evidenzia l’irrefrenabile desiderio del compositore salisburghese di essere finalmente libero di condurre la propria esistenza, senza la presenza oppressiva del padre che, con continui ricatti, gli impose di vivere secondo il suo punto di vista, incurante delle legittime aspirazioni del figlio. A differenza di Catone Mozart non si suicidò, ma di certo, unitamente alla circostanza che si era appannato con la maggiore età il mito del bambino prodigio, aveva finito per condurre un’esistenza grigia e senza soddisfazioni, comportandosi come un fallito anche se non lo era e non accettando quella normalità che non gli era mai stata propria. Per dirla in breve non si suicidò, ma nulla fece per vivere.
Il libro è bello, sotto ogni aspetto, la narrazione di Edgarda Ferri è puntuale e precisa, nulla le sfugge di una vita così intensa quale è stata quella di Mozart durante l’infanzia; descrive bene i personaggi, soprattutto Leopold Mozart, il padre padrone del piccolo genio, un uomo che vede nel figlio quella possibilità di successo e di fama da lui sempre agognati e mai raggiunti. La brama di arrivare incombe continuamente sul piccolo Mozart, escludendo perfino la sorella Nannerl, che pure avrebbe avuto grandi possibilità di affermarsi con il suo talento musicale. Le descrizioni dei viaggi, gli incontri con i reali dell’epoca, la felicità infantile di Amadeus che con il trascorrere degli anni, raggiunta la maggiore età, si trasforma in insoddisfazione, stante la pressione paterna, l’incapacità del giovane di sottrarsi a questo vincolo opprimente, il declino fra ristrettezze tali che, da morto, finirà in una fossa comune, sono descritti mirabilmente e con una vena di compassione per un uomo a cui non fu permesso di vivere normalmente.
Secondo me Mozart è stato il più grande compositore di tutti i tempi, un compositore universale, stante la sua grandezza nella musica classica, in quella sacra, in quella sinfonica e in quella operistica, ma è stato anche e soprattutto un essere umano che ha cercato sempre, senza mai ottenerla, un po’ di libertà.
Da leggere, più che un consiglio è una raccomandazione.

L'ufficiale e la spia - Robert Harris

L’affare Dreyfuss è stato indubbiamente il caso più noto di condanna di un innocente in forza di pregiudizi razziali prima, e di delirio di onnipotenza dopo, quando ci si accorse che il condannato non era colpevole.
Alfred Dreyfuss, ufficiale di artiglieria alsaziano ed ebreo, fu imputato di tradimento unicamente sulla base di un documento rinvenuto nell’immondizia dell’ambasciata tedesca a Parigi, documento scritto a mano con una calligrafia simile alla sua. E poiché la prova non era sufficiente per una condanna, si provvide a costruirne altre, peraltro in modo dilettantesco.
Condannato alla deportazione perpetua nella tremenda isola del Diavolo nei pressi della Guyana francese, la sua sorte sarebbe stata segnata se uno dei militari che avevano preso parte al suo arresto, l’allora maggiore Georges Picquart, divenuto capo del Controspionaggio non avesse per caso notato alcune incongruenze nelle prove d’accusa. Dato che la storia è lunga, non sto a scriverla tutta, anche perché è nota, sto solo a evidenziare come un fatto del genere sia potuto avvenire anche per un rigurgito nazionale di antisemitismo; basti solo sapere che occorse parecchio tempo per porre rimedio all’ingiustizia, che lo stesso Piquart fu incriminato per aver cercato di portare alla luce la verità, che ci furono diversi processi prima che Dreyfuss fosse riabilitato e reintegrato nell’esercito con il grado di maggiore. Andò ancora meglio al tenente colonnello Picquart, prima espulso dall’esercito, poi riammesso con il grado di generale di brigata e che riuscì anche a diventare Ministro della Guerra.
Da questa vicenda ampiamente conosciuta Robert Harris ha tratto un romanzo storico, il più possibile aderente allo svolgimento dei fatti, che vengono narrati proprio da Georges Picquart.
Se devo essere sincero avevo il non infondato timore, prima di leggere, di potermi trovare di fronte a una specie di polpettone, perché la storia è complessa, i personaggi sono numerosi e pressoché tutti veri e spesso di grande notorietà, come Georges Clemenceau ed Emile Zola, quello della famosa lettera pubblicata su L’aurore il 13 gennaio 1898 e rivolta al Presidente della Francia che comincia con “J’accuse”.
Invece è risultato un romanzo che, oltre a essere di notevole interesse, è di facile e appassionante lettura.
Harris ricrea nel migliore dei modi l’ottusità di un certo mondo militare disposto a tutto pur di non dover ammettere l’errore, l’ignoranza diffusa di un popolo che prova ancora la cocente delusione per la sconfitta subita dai tedeschi nel 1870 e che trova, nella sua incapacità di darsi pace, i capri espiatori più facili, gli ebrei. Così il tradimento di cui è incolpato Dreyfuss ha il suo peso nell’ossessione del nazionalismo, ma lo è ancor di più perché ebreo, e ovviamente è visto male e allo stesso modo chi, cercando la verità, difende un uomo, che ha il difetto di essere ebreo.
Il libro è semplicemente stupendo, si inizia a leggere e non ci si fermerebbe mai, nonostante le sue 448 pagine. A titolo di notizia, nel 2019 è uscito nelle sale cinematografiche un film tratto dal romanzo, diretto da Roman Polanski; la pellicola ha avuto grande successo e fra i numerosi riconoscimenti si è anche aggiudicato Il Gran premio della giuria alla 76a Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia.
Non credo sia necessario aggiungere altro.

Noi - Evgenij Zamjatin

Per la verità, poi ho comprato questo libro, perciò poi l'ho letto sulla mia copia. Ciò non toglie che questo è un capolavoro assoluto. E' qualcosa di stratosferico: lo è già di per sé, ma se consideriamo che è stato scritto nel 1920-22 non possiamo che inginocchiarci al suo cospetto, perché questo è veramente un libro profetico.
Mia personale opinione è che Noi acquista degli strati di significato se prima si è letto Paradise Lost di John Milton. Ora, ciò è del tutto opzionale, però ci sono molti rimandi all'opera miltiana che sicuramente possono essere apprezzati conoscendo entrambe le opere.
Io non posso che consigliare vivamente la lettura e il proselitismo: questo libro deve essere molto più conosciuto e letto di quello che è.

Battle royale - Koushun Takami

Per chi, come me, non è abituato a leggere manga... beh, questo libro è qualcosa di diverso dal solito. Dunque, io amo le distopie, quindi quando mi è stato parlato per la prima volta di questo libro ero particolarmente euforica, ma in realtà la distopia qui è lo sfondo, è il contorno, l'abbellimento, anzi il pretesto. Scordiamoci Orwell, Huxley e compagnia cantante perché Battle Royale NON è un libro fatto per farci paura o per parlarci del nostro mondo. E' un libro d'azione e in questo senso fa il suo dovere: ha un ritmo incalzante, è una lettura veloce e piacevole, ha un bel modo di seguire i personaggi (cosa non da poco, visto che sono ben più di 40). Certo che tutto quello che è l'ambiente storico-politico del paese dove questo gioco assurdo avviene è lasciato molto a sé stesso o comunque è scarsamente approfondito.
In più, i personaggi sono decisamente più dei tipi che dei personaggi a tutto tondo. Dalla regia mi dicono che questo è normale nella letteratura a fumetto giapponese: per chi, come me, è un outsider, la cosa può creare almeno ilarità e al massimo disagio. Sono cose su cui si può soprassedere.
Dunque, lo consiglio? Sì, assolutamente. E' un libro piacevole, scorrevole, difficilmente vi pentirete di averlo letto. Solo una cosa: è molto grafico in alcuni suoi punti (leggendo l'abstract vi sarà chiaro perché) e, siccome di violenza in questo libro ce n'è molta, io non lo consiglio a chi è facilmente impressionabile o chi ha problemi con spargimenti di sangue etc. perché in questo libro sono cose all'ordine della pagina.

Ringrazio Giorgia per avermi consigliato questo libro.

Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino - Christiane F.

Secondo me, questo libro è un rito di passaggio. Tanti, se non tutti, sono venuti in contatto con questo libro - o con il corrispettivo film - e si sono sentiti cambiati, diversi. Si sono sentiti cresciuti. La gente si ricorda di quando ha letto per la prima volta questo libro. E' un'esperienza che lascia traccia nella vita di chi la prova.
Infatti, è un libro che non si può prendere alla leggera. Io l'ho letto sapendo, più o meno, di cosa trattasse, ma con una certa euforia, perché mi stavo approcciando a un monolite nella storia dell'editoria. La lettura è stata un viaggio, direi paragonabile a quello dantesco, ma senza paradiso e con uno scorcio sul purgatorio. Lascia sconcertati da subito, quando ancora nulla è successo. Continua nella sua mirabolante spirale.
Ciò che viene raccontato in questo libro è una tragedia, paragonabile ai cataclismi naturali e ai momenti che hanno segnato la storia. Certamente è la storia di una ragazza, ma è solo una goccia in un mare di persone che negli anni '70 incontrarono l'eroina, come capita di incontrare uno tsunami o un terremoto. Si è solo travolti.

Lettura delle "Nozze di Figaro" - Massim Mila

Purtroppo, io non sono il pubblico più adeguato. E' un testo molto tecnico, dunque bisogna approcciarvisi con questa idea in mente. In più, bisogna aver presente l'opera di cui tratta e anche delle conoscenze musicali non da poco. Decisamente un testo per addetto ai lavori.

Le belle immagini - Simone de Beauvoir

"Le belle immagini" mi è piaciuto moltissimo. Sarò sincera: non credo di averlo compreso fino in fondo, però ciò che ho letto mi è piaciuto e ha in qualche modo risuonato in me. Ha avuto un impatto sulla mia persona e, anzi, tornavo volentieri a questo libro per continuarlo.
"Una morte dolcissima" mi è rimasto più impresso de "Le belle immagini". Per assurdo, ha dipinto nella mia testa immagini più nitide. Subito non mi è piaciuto o interessato così tanto: in primis, era un racconto autobiografico, mentre quello che avevo appena finito di leggere "Le belle immagini" era un racconto di fantasia, per giunta di un'autrice di cui non sapevo nulla (e tutt'oggi so pochissimo); in secundis, parla della morte della madre di De Beauvoir, che insomma non è la premessa più eccitante, specie quando è un fatto realmente accaduto. Tuttavia è anche questo un testo di grande valore, per il modo in cui tratta il rapporto tra madri e figlie, tra sorelle e anche il modo in cui tratta le tematiche della malattia e della sofferenza.
Sicuramente è un'accoppiata di testi che ha qualcosa da dire e che non può lasciare indifferenti.

Kobane calling - Zerocalcare

Io non avevo mai letto nulla di Zerocalcare, anzi non avevo mai letto un fumetto. Dunque, considero questo un buon inizio? Direi di sì. Ovviamente questa è un'opera emotiva e come tale va presa. In fondo, si tratta di un libro che tocca temi, momenti e situazioni spinose e difficili. Anzi, difficilissimi. Dunque, potrebbe benissimo essere che una persona più esperta di me desideri bruciare questo libro in piazza, anche se non si propone come un'opera storiografica. E' a tutti gli effetti un diario di bordo che ci porta in luoghi di solito distanti dal lettore medio italiano ed è per questo che forse mi ha conquistata. E' una lettura velocissima, perciò non preoccupatevi per il tempo che potrebbe portarvi via.

Le ultime lune - Furio Bordon

Le ultime lune è una pièce teatrale in due atti scritta da Furio Bordon nel 1992 quando era direttore artistico del Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia e che debuttò nel 1994 il 10 novembre al Teatro Carlo Goldoni di Venezia per la regia di Giulio Bosetti e l´interpretazione di Marcello Mastroianni (il padre), di Erika Blanc (la madre) e di Giorgio Locuratolo (il figlio). Fu un immediato successo, tanto che il dramma è stato tradotto in venti lingue e rappresentato in trenta paesi.
Perché questo straordinario esito favorevole, che cosa ha indotto migliaia di spettatori ad accorrere per vedere questa pièce?
Si tratta dell´argomento trattato, di quella vecchiaia che è propria di tutti gli esseri umani, e che Furio Bordon ha saputo fare oggetto di una particolare riflessione, da cui scaturiscono i drammi, piccoli e grandi, e anche le dolcezze di questa ultima età. Nella vicenda dell´anziano che è per l´ultima volta nella sua camera, solo e in attesa del ritorno dal lavoro del figlio che lo condurrà poi a una casa di riposo, si specchia ineluttabile un destino di tanti a una certa età e proprio a una certa età, non potendo vivere in funzione del futuro, si vive del passato; è così che l´uomo inganna il tempo che gli manca per la partenza conversando con la moglie morta da molto tempo, un colloquio struggente che ripercorre tutta una vita e che gli fa dire " La felicità è tutta nel passato." Poi, arriva il figlio e ii discorso diventa fra vivi, con qualche bisticcio anche, e ancora con gli interventi della moglie, che è quella parte dell´anima del vecchio che lo rende ritroso a lasciare la casa, consapevole che la prossima dimora sarà quella in cui finirà con il morire. E´ molto bello anche il tentativo, blando, del figlio di trattenerlo, blando perché comprende le ragioni del padre, ma è anche vero che non si sente di avere fra quelle quattro mura un morituro, a parte l´egoismo di avere a disposizione una camera in più per i figli. Finisce il primo atto e si arriva al secondo, con l´anziano che ormai ospitato a Villa Delizia si è ritagliato un angolo di indipendenza in una soffitta dove coltiva una pianta di basilico, quasi a voler affermare il desiderio di veder crescere una vita fra tante che lentamente si spengono. E lì, nell´attesa di oltrepassare l´ultima porta, accomunati tutti dallo stesso destino come i soldati in una trincea, lui, in un ultimo sussulto, decide di non lasciarsi andare, di non anticipare la sua dipartita, riscopre la sacralità della vita che merita di essere vissuta fino all´ultimo, con l´unico desiderio di scegliere il tempo per la sua morte. Gli piacerebbe tanto a Natale, con il grande albero illuminato, in mezzo alla piazza, mentre la neve cade lenta.
Sì, la felicità è nel passato, ha proprio ragione Furio Bordon.
Da leggere, è un capolavoro.

Squadristi - Mimmo Franzinelli

Quando si parla di fascismo la prima cosa che viene in mente sono le squadracce di personaggi truci, armati di manganello, pugnale e qualche volta di pistola e bombe a mano, intente a bastonare gli oppositori politici e a far ingurgitare loro abbondanti dosi di olio di ricino. Però, è talmente prevalente la loro turpe fama che spesso e volentieri si finisce con l´ignorare la loro storia, i motivi per cui sono nate, gli scopi e il loro utilizzo per l´affermazione politica di Mussolini e del fascismo.
Per chi vuol sapere di più su questi "bravi" mussoliniani basta leggere Squadristi, un saggio storico del sempre eccellente Mimmo Franzinelli. Dato che l´opera, come d´abitudine accompagnata dall´indicazione delle fonti, è lunga ben 464 pagine non intendo assolutamente scriverne un riassunto che, oltre tutto, non potrebbe essere breve, ma mi limiterò a evidenziarne la struttura e le caratteristiche.
Al riguardo il periodo preso in considerazione è quello in cui appunto si manifestarono queste squadre d´azione, costituite da nuclei di attivisti chiaramente nazionalisti volti a osteggiare gli avversari politici, ricorrendo alla forza, non di rado arrivando anche ad uccidere. Sorte nel 1919 furono il braccio armato del fascismo, perseguitando dapprima i socialisti e, dopo la scissione di Livorno, anche i comunisti; ne furono vittime peraltro anche democratici di tendenze diverse e addirittura dei sacerdoti.
Franzinelli non è uno storico superficiale e la sua analisi del fenomeno è particolarmente profonda e ben strutturata perché, per comprendere le origini, parte dalle ispirazioni che animarono i futuristi e dalle insoddisfazioni di certi fegatacci, come molti ex arditi. Inoltre esamina il fenomeno non solo relativo alle città, ma anche alle campagne in cui non pochi proprietari terrieri foraggiarono il fascismo, vedendo nel movimento e nelle squadre d´azione l´unica risorsa per combattere con successo una sinistra divisa e in parte ispirata al marxismo sovietico. Lo stato liberale, dapprima equidistante, vide tuttavia nell´estrema destra la garanzia per la sua esistenza e fece una scelta precisa, la stessa che consentirà a Mussolini di arrivare al potere con una marcia puramente dimostrativa. Un ampio capitolo poi è dedicato alle stragi compiute dalle squadre d´azione, quali il massacro di Roccastrada avvenuto il 24 luglio 1921, quando a seguito dell´uccisione dello squadrista grossetano Ivo Saletti, al termine di una spedizione punitiva proprio a Roccastrada, vennero per ritorsione uccisi una decina di contadini e furono date alle fiamme una ventina di case del paese. Non potevano poi mancare pagine della marcia su Roma, che tuttavia non pose fine alle intimidazioni e alle violenze fasciste, e al riguardo basti pensare all´omicidio di Giacomo Matteotti. Di particolare interesse, poi, in conclusione sono la cronologia delle violenze politiche (1919-1922) e il dizionario biografico del fascismo, con quest´ultimo che riporta i nominativi, con tanto di cronistoria soprattutto delle loro gesta, di squadristi particolarmente attivi, il tutto completato da fotografie dell´epoca in tema.
La lettura è estremamente interessante, l´analisi di Franzinelli, equilibrata, è molto approfondita e in grado di rendere edotti di questo tragico fenomeno. Di conseguenza, Squadristi è un altro lavoro dello storico bresciano meritevole di attenzione.

Se esiste un perdono - romanzo di Fabiano Massimi

Ho letto questo romanzo in preparazione e durante il mio primo viaggio a Praga. Un racconto di finzione sullo sfondo storico della Praga a cavallo tra il '38 e il '39. Con questo libro ho scoperto la storia vera di questo gruppo di uomini e donne, britannici e cecoslovacchi, impegnati a salvare i bambini di famiglie perlopiù ebree, prima dell'imminente invasione nazista, col loro trasferimento nel Regno Unito a bordo di treni. Una storia avvincente ad ogni capitolo, inaspettata nella figura della voce narrante e commovente nel suo finale. Una bella storia che non si dimentica, come la città di Praga.

Il piccolo principe - di Antoine de Saint-Exupery

Ci si può chiedere che senso abbia leggere oggi, o meglio rileggere, una favola a cui mi sono avvicinato, se la memoria non m’inganna, che avrò avuto all’incirca undici-dodici anni anni, e quindi più di una sessantina di anni fa. I motivi possono essere i più vari, quali ritrovare un sogno di giovinezza, ma credo soprattutto che si sia trattato di verificare se quest’opera - che non avevo disprezzato, ma che neppure mi aveva entusiasmato - alla luce di un’abbondante maturità potesse confermare il lontano giudizio, oppure se dovesse esserci una variazione, in positivo o in negativo, dello stesso.
In questa rilettura pesa non poco l’esperienza maturata, il disincanto che è proprio dei vecchi, la difficoltà di vedere con gli occhi di un bambino. Eppure, non posso nascondere che la favoletta ha un suo fascino, rammentando che nella vita sono importanti valori come l’amicizia, l’amore, l’altruismo, senza dimenticare che in noi c’è un bene inestimabile, quell’innocenza propria dei bambini che dobbiamo cercare di conservare nonostante il trascorrere del tempo, le gioie e soprattutto i dolori che accompagneranno la nostra esistenza. In questo senso Il piccolo principe, più che una favola, è un sogno a occhi aperti fatto da un uomo maturo negli anni, ma fanciullo nell’animo, un uomo che ha trovato nel volo quella libertà che ha sempre cercato e che gli ha consentito quella saggezza che è propria di quell’omino, il piccolo principe, giunto sulla terra, guarda caso, dal cielo, su un asteroide. Chi viene da lontano, chi non è inserito in un sistema, può vedere meglio le storture dello stesso ed è quello che fa questo essere spaziale, con una lezione di civiltà di rara efficacia. E’ il mondo degli adulti oggetto delle critiche, adulti che hanno persa la purezza dei bambini, ed ecco allora l’importanza di conservare dentro di sé l’innocenza primitiva.
Certo è che viene spontaneo il raffronto con Il fanciullino di Giovanni Pascoli, perché entrambi gli autori, in epoche certamente diverse, hanno saputo cogliere il segreto per un mondo migliore, un mondo in cui ci si possa ancora stupire delle piccole cose, dove l’affetto non deve avere interessi e in cui sia possibile ritrovare noi stessi quali eravamo prima dell’età adulta, spesso immemori dei sogni e dei desideri di quando eravamo bambini.
In pratica con Il piccolo principe Antoine de Saint-Exupery ci insegna che dobbiamo vedere con il cuore, perché quello che conta, l’essenziale, è invisibile ai nostri occhi.
E’ una grande messaggio, scritto da un uomo che con il tempo è diventato un mito e come tutti i miti è pure immortale, perché nulla si sa della sua fine, del perché non sia ritornato durante la guerra da una missione, ma soprattutto perché immortale è il messaggio che ci ha lasciato con Il Piccolo Principe.
Se avevo delle riserve quando espressi il mio giudizio una sessantina di anni fa, queste sono sciolte e il risultato è che mi ha talmente soddisfatto da raccomandarne la lettura ai bambini, ma anche ai grandi, perché, cercando dentro di noi, è sempre possibile trovare almeno una traccia di quel bimbo che eravamo.