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Gli ultimi messaggi del Forum

Isabella d'Este, marchesa di Mantova - Giannetto Bongiovanni

Isabella d’Este (Ferrara, 17 maggio 1474 – Mantova, 13 febbraio 1539).
Inizio con le classiche date di nascita e di morte proprio per porre in risalto il periodo storico, in primis caratterizzato dalle grandi esplorazioni geografiche (la scoperta dell’America è del 1492), e poi dal conflitto pressoché permanente fra Francia e Spagna che si svolse soprattutto in Italia. Ecco, Isabella d’Este è uno dei personaggi, se non il personaggio di maggior rilievo di quest’epoca, una dama, Madama la Marchesa, che non solo sarà poi ricordata per la sua elevata cultura e la passione per le arti, ma anche perché dovette misurarsi con gli eventi di anni turbolenti, caratterizzati da tradimenti nelle alleanze, da voltafaccia, da continui attriti che fecero sì che non ci fu mai un periodo di effettiva pace. E lei, sposa di Francesco II Gonzaga, bruttino e senz’altro meno colto, più dedito alle arti della guerra che all’esercizio della politica, supplì alle carenze del coniuge, destreggiandosi abilmente, a tutela sia della signoria di Mantova acquisita per matrimonio, sia di quelle con i cui reggenti era imparentata, e cioè Ferrara, Urbino e Milano. Era difficile rimanere a galla per un uomo scaltro e possiamo immaginare quanto quasi fosse impossibile per una donna, eppure lei vi riuscì, senza rinunciare peraltro alla sua passione per il bello, per le arti, di cui fu senz’altro un faro per tutta l’Europa. Se pensiamo al significato del termine protagonista, ecco lei fu appunto la grande protagonista, capace di trattare da pari a pari con re, imperatori e pontefici, senza mai venir meno alla sua femminilità che la rendeva bella più di quanto non fosse. A questo punto credo che sorga la curiosità di conoscerla e a ciò ha provveduto con un’opera di grande bellezza il mantovano Giannetto Bongiovanni, fornendo un’immagine che scaturisce vivida dalle pagine, che scorrono con grande piacere, ricche di notizie esposte non in modo pedante, ma molto avvincente, quasi che, anziché di un saggio storico, si trattasse di un romanzo. Viene naturale accostare l’autore a una grande narratrice che tanto ha scritto dei Gonzaga e mi riferisco a Maria Bellonci; in effetti i due non hanno poco in comune, caratterizzati dall’entusiasmo con cui parlano dei loro personaggi, capaci di dare una visione di una dinastia, quella dei Gonzaga, che ha costituito per un non breve lasso di tempo un preciso riferimento a livello europeo. E per quanto Isabella di nascita non fosse una Gonzaga, ma una della casa d’Este, finì con il diventare dei Gonzaga la maggiore e migliore esponente. Fu lei ad arricchire di quadri e di sculture la residenza nobiliare e fu sempre lei che arrivò a dettare la moda, di cui si teneva conto perfino alla corte di Parigi. E poi ancora lei, moglie devota di un marito che la tradiva ripetutamente, spesso con baldracche di infimo ordine, fu il suo più valido consigliere, capace di condurlo nella difficile tenzone dei giochi di potere, in cui lui, esperto uomo d’armi, di certo non eccelleva.
Giannetto Bongiovanni è stato in grado di darci un ritratto esauriente di questa grande donna, dalla sua venuta a Mantova fino alla sua morte, con meticolosità, ma senza risultare greve, insomma vien da dire – e non è esagerato – “tanto di cappello”.

Il cavaliere nero - Bernard Cornwell

La ricerca del Santo Graal, cioè la coppa utilizzata da Gesù Cristo nell’ultima cena, ha rappresentato in passato l’oggetto di tante leggende, visto che alla reliquia venivano attribuite grandiose proprietà taumaturgiche, fatto di per sé inspiegabile trattandosi di un oggetto, ma che affonda le radici in una religiosità medievale fatta prevalentemente di simboli. Ebbene, anche nel Cavaliere nero prosegue la ricerca del Graal da parte di Thomas di Hookton, la cui famiglia originaria, peraltro francese, i Vexille, aveva posseduto la tanto agognata reliquia, poi andata dispersa in occasione della diaspora che aveva colpito i suoi membri all’epoca della crociata contro i Catari.
Il romanzo presenta la caratteristica di iniziare e di finire con due famose battaglie, di cui la prima fu quella di Neville’s Cross, che ha preso il nome della croce di pietra eretta da Lord Neville per indicare la località della vittoria, combattuta fra un modesto raggruppamento di truppe inglesi e un grosso esercito scozzese, che ne uscì sconfitto nonostante tutte le previsioni grazie ancora una volta al micidiale utilizzo dei famosi lunghi archi inglesi. La seconda avvenne sul suolo francese in Bretagna nel corso dell’assedio alla cittadina di La Roche Derrien da parte di ingenti truppe francesi al comando di Carlo di Blois, nipote del Re di Francia, anche questa volta contro le modeste truppe inglesi asserragliate a difesa dell’abitato e dei poco numerosi soldati accorsi in soccorso. Nonostante l’abilità del comandante francese, che architettò una ingegnosa trappola, solo in parte riuscita, gli assedianti furono sconfitti e lo stesso illustre condottiero cadde prigioniero; ancora una volta al risultato positivo dello scontro concorsero in modo determinante gli arcieri inglesi.
Il principale protagonista è sempre Thomas di Hookton, che è un arciere, uno dei migliori, bravo anche tatticamente, e in entrambe le le battaglie si fa onore, ma fra l’uno e l’altro scontro si rende protagonista della ricerca del Graal, inanellando un’avventura dietro l’altra, senza un attimo di respiro, a riprova della straordinaria creatività di Bernard Cornwell. Tuttavia il narratore inglese, per mantenere alto il ritmo della narrazione, va poco in profondità nella descrizione dei personaggi, ma in cambio scrive delle battaglie in modo entusiasmante, passando indifferentemente e bene da una inquadratura generale dell’evento ai particolari dello stesso, ai singoli duelli, agli atti di eroismo e di vigliaccheria, in una tensione che attrae irresistibilmente il lettore.
Non c’è da stupirsi quindi se le pagine scorrono veloci, se è costante il desiderio di sapere cosa accadrà dopo, se la battaglia sembra uscire dalle pagine per materializzarsi davanti ai nostri occhi.
Arrivati alla fine si è soddisfatti per aver trascorso piacevolmente un po’ di tempo, senza dover spremere le meningi, e altresì contenti di sapere che la ricerca del Graal non è terminata e che proseguirà con un altro libro.

Buonanotte, signor Tom - Michelle Magorian

Ignoravo l’esistenza di questo romanzo fino a quando, facendo alcune ricerche in Internet, ne sono venuto a conoscenza ed è bastato leggere due righe di presentazione per destare in me curiosità e interesse per un’opera che speravo, non sbagliandomi, di sicuro valore. La vicenda in breve è abbastanza semplice, con molti bambini londinesi che nell’imminenza del secondo conflitto mondiale sono inviati per sicurezza in campagna ospiti di famiglie resesi disponibili ad ospitarli. Fra questi c’è Willie, un bimbo chiuso e timoroso, con il corpo coperto di lividi, che approda alla casa del signor Tom Oakley, un uomo di mezza età che vive da tempo da solo dopo la morte, in ancor giovane età della moglie, a causa di un parto a seguito del quale è deceduto pure il nascituro. Si ha l’’incontro così fra un ragazzino traumatizzato dalla madre, donna instabile di mente, e un vedovo che si è isolato e che poco accetta i contatti con gli abitanti del villaggio. Nonostante questi caratteri poco a poco avviene un trasformazione con Willie che perde le paure e diventa sicuro di sé e Tom che riversa sul bambino tutto l’amore che non ha potuto dare alla moglie e al figlio prematuramente scomparsi, rendendolo una persona ben diversa da quella conosciuta e conferendogli una socievolezza del tutto inaspettata. Nonostante la guerra tutto sembra procedere per il meglio fino a quando la madre scrive chiedendo che il bambino torni da lei e così avviene, con grande dispiacere di Willie e di Tom. Una volta a Londra il bambino non dà più notizie e allora Tom, disperato, va alla sua ricerca e fa un orribile scoperta. Non vado oltre, sarebbe ingiusto togliere al lettore il piacere di leggere le pagine successive di questa vicenda; tuttavia, mi preme rassicurare che il finale non è tragico, una gioia per chi si appassiona a due protagonisti veramente indovinati, al piccolo Willie che piano piano esce dai suoi incubi e al signor Tom, un burbero dal cuore d’oro.
Il romanzo è scritto con delicatezza, con analisi psicologiche assai profonde, ma non pedanti, accompagnate da descrizioni assai riuscite dell’ambiente e con tanti altri attori, ognuno con la personalità ben definita e perfettamente integrati nella trama.
Personalmente ho divorato le pagine, a volte trepidante, altre commosso, e comunque sempre avvinto da una narrazione che procede lineare senza mai incepparsi, e giunto alla fine ho compreso perché questo libro da una quarantina di anni è di successo per adulti e ragazzi, e come possa esserlo a maggior ragione oggi. In un’epoca quale l’attuale in cui si è dimenticato il significato del termine umanità, inteso come sentimento di solidarietà e di comprensione per gli altri esseri, ritrovare il valore dei sentimenti autentici è motivo di gioia e di speranza.

Se l'acqua ride - Paolo Malaguti

Se l’acqua ride è un romanzo di formazione che segue l’evoluzione di un personaggio di una simpatia che ha dell’incredibile, oltre a narrarci di un’epoca non da tanto trascorsa, ma che sembra sbocciare sotto gli occhi di chi legge. Indubbiamente Gambeto, il protagonista, membro di una famiglia di barcaroli, è descritto con una grazia e una sagacia invidiabile; simpatico per le ingenuità proprie dell’età, esilarante nelle sue scoperte sul sesso, è una di quelle figure capaci da sole di dare corpo e nerbo a uno scritto. Già agli inizi ci fa ricordare i nostri anni di scuola (in questo caso le medie inferiori) quando al risveglio la mattina si desidererebbe tanto restare a letto e invece si è costretti a vestirsi e ad andare al proprio dovere di studente, in quella classe dove impera il professore Oio, altro personaggio azzeccato. In verità tutti gli interpreti di questa storia sono indovinati, dal padre che avverte l’incertezza del lavoro di barcarolo alla madre, una donna semplice e timorata di Dio, al fratellino Luciano, un po’ in ombra, ma è giusto che sia così perché più giovane. Eccezionale è poi il nonno Caronte, che da una vita conduce il suo burcio, cioè il barcone, che va a vela e non ha il motore e che quando non c’è vento ha necessità per muoversi, se non a favore di corrente, del cavalante che con il suo quadrupede traina l’imbarcazione, tutte professioni che all’epoca in cui è ambientato il romanzo stanno già scomparendo.
Eppure Gambeto che al termine della scuola sarà anche lui un barcarolo è orgoglioso di quel lavoro, perché stare insieme al nonno è un’esperienza esaltante. Quando seguiamo la navigazione nei fiumi e nei canali seguiamo anche lo sviluppo del ragazzo, la sua crescita, la sua maturazione, il suo risveglio della sessualità, i primi innamoramenti con le gioie, le emozioni, ma anche le trepidazioni che provocano.
Gambeto si innamora a prima vista, come è tipico di quell’età, e ovviamente non mancano le delusioni, tutte esperienza come gli fa capire il nonno.
Inoltre per il ragazzo ogni ansa di fiume, ogni paesino, ogni argine sono una scoperta, è un aprire gli occhi su un mondo che prima non conosceva.
Così, mentre la Teresina, che è il nome del vecchio burcio, scivola sull’acqua il ragazzo matura e senza accorgersi poco a poco diventa uomo.
Grazie a uno stille snello, ma non certamente povero, a una capacità descrittiva a tutta prova, Malaguti ha realizzato un’opera che ha il tocco della grazia, capace di avvincere dalla prima all’ultima pagina, di far talvolta ridere ed altre invece moderatamente commuovere, in un equilibrio perfetto fra realtà e fantasia in cui i sogni di un ragazzo che cresce si evolvono naturalmente.
E’ un percorso, quello di Gambeto, che in altre circostanze e in altri modi abbiamo fatto tutti e questo ritrovare in fondo un po’ di noi è uno dei motivi di pregio di un’opera che a mio parere è un autentico gioiello.

L'arciere del re - di Bernard Cornwell

Bernard Cornwell è un narratore britannico, noto per le serie di romanzi storici che ha scritto. Della Storia dei re sassoni ho già letto L’ultimo re e Il cavaliere e il suo re, entrambi molto piacevoli e avvincenti, in grado di far trascorrere piacevolmente un po’ di tempo e caratterizzati dal fatto che l’aspetto creativo è limitato all’indispensabile, presentando invece in modo convincente eventi accaduti realmente, con i protagonisti quasi tutti effettivamente esistiti. La serie è un po’ lunga, articolandosi su tredici romanzi, ed è per questo che ho deciso di passare ad altro che fosse più breve, anche per verificare se cambiando l’argomento avrei trovato lo stesso interesse. L’arciere del re è il primo dei quattro romanzi che compongono la serie di Alla ricerca del Santo Graal, serie che si svolge in un’epoca posteriore (corre il XIV secolo, anziché l’XI) e dico subito che ho ritrovato i pregi di questo autore, capace sempre di avvincere dalla prima all’ultima pagina, con una trama scorrevole, in cui i colpi di scena sono quasi la norma, così che il lettore di certo non finisce per annoiarsi. In verità un difetto che ho riscontrato e che anche in questo romanzo è presente è di non provvedere a una attenta e profonda analisi psicologica dei protagonisti, preferendo invece rimanere un po’ in superficie, anche per privilegiare l’azione. E a proposito di questa nell’Arciere del re troviamo di tutto, dalla conquista sanguinosa della città di Caen, con l’immancabile seguito di saccheggi e di stupri, alla battaglia di Crécy descritta magistralmente, in una serie di pagine con la narrazione che diventa progressivamente incalzante e che quasi rende partecipi dell’evento, con scene che si potrebbero definire apocalittiche, fra cavalli e uomini morenti, con il sangue che poco a poco inzuppa la collina, insomma una vera e propria mattanza in cui come noto risultarono sconfitti i francesi di Filippo VI, vittime soprattutto degli arcieri inglesi di Edoardo III. Queste ultime pagine, che sembrano macchiarsi di rosso tanto è il sangue che scorre, da sole meritano la lettura di un libro di questo autore che ancora una volta ho apprezzato. Comunque, giusto che si sappia, in questa “prima puntata” si accenna solo al Graal, visto che il protagonista principale, l’arciere Thomas, è impegnato a rintracciare una preziosa reliquia, la lancia con cui San Giorgio trafisse il drago, e sottratta alla chiesa inglese di Hookton. Non vado oltre, perché correrei il rischio di svelare troppo e comunque sono più che convinto che chi ama le storie di cappa e spada qui avrà pane per i suoi denti.

La chiave delle ombre - Susan Stokes-Chapman

Mistero,folklore, e misticismo. Mi ha tenuto incollata come pochi libri hanno fatto. Mi sono talmente emozionata che ho deciso di andare in libreria a comprarlo. Il colpo di scena alla fine poi mi ha lasciato senza parole. Bellissimo

Un cavaliere e il suo re - romanzo di Bernard Cornwell

Se L’ultimo re, primo romanzo della serie, si concludeva con la battaglia che vedeva sconfitti i danesi, con l’uccisione del loro capo, il feroce Ubba, il secondo episodio si apre con la definitiva decisione dell’intrepido Uhtred di lasciare definitivamente i danesi e di mettere la sua spada al servizio del pio re sassone Alfredo. Da questa decisione, prima avventata, poi frutto di un progressivo e sempre più radicato convincimento, si dipana tutta una serie di avventure di carattere bellico culminanti in una battaglia vittoriosa di re Alfredo sugli invasori danesi, esito a cui ha contribuito in modo determinante con la sua tattica e con la sua abilità di uomo d’arme proprio Uhtred, consapevole ormai che se vuole riprendere allo zio usurpatore il possesso di Bebbanburg deve per forza restare uno delle sua gente, e non certo un nemico della stessa, quale era quando stava con i danesi, fra i quali tuttavia resta ancora qualche suo amico.
E’ innegabile che le vicende di questo personaggio di invenzione si basano tuttavia su fatti storici effettivamente avvenuti e che molti dei protagonisti sono realmente esistiti; tale circostanza offre spessore alla narrazione e permette di comprendere il lungo percorso attraverso il quale c’è stata l’unificazione di territorio e di popolazioni nell’Inghilterra.
L’autore ha indubbiamente uno stile snello e accattivante, capace di rendere in modo apprezzabile le atmosfere di un’epoca particolare, riuscendo anche a ricreare visivamente il teatro in cui si svolgono gli eventi, un po’ meno incisivo forse quando si tratta descrivere lo scontro fra due eserciti, in cui traspare il desiderio di rendere partecipe il lettore, tuttavia senza riuscirci completamente in più di una occasione. In ogni caso la narrazione riesce ampiamente ad avvincere e induce chi legge a rincorrere la trama, desideroso di scoprire gli eventi successivi, soprattutto quando si tratta dell’esito di una battaglia.

Matteotti e Mussolini - Mimmo Franzinelli

Matteotti e Mussolini sono stati due emblemi di una concezione diversa del potere, il primo convinto che il potere risieda nella volontà popolare espressa liberamente e nella democrazia, il secondo avviato a spron battuto verso logiche di dittatura, contrario a ogni confronto di opinioni e di idee diverse.
La differenza di vedute risiede evidentemente nel concetto innato in Matteotti che solo con un contrasto politico paritario il paese Italia potesse vivere le difficili fasi del dopoguerra; per Mussolini non era invece questione di dare un’impronta allo stato affinché l’Italia riuscisse ad avere prospettive economiche e sociali, ma nel suo ego smisurato non poteva che concepire l’identificazione fra la sua persona e l’intera nazione. Si trattava di posizioni sicuramente inconciliabili e in un’aula parlamentare che vedeva primeggiare il movimento fascista senza lasciare spazi all’opposizione Matteotti rappresentava l’unica voce, forte, di dissenso. A fronte di un programma che vedeva solo l’ascesa al potere assoluto di Mussolini, Matteotti contrapponeva un deciso progetto riformista ed era anche l’unica effettiva voce di una politica di opposizione, capace come un pugile di ribattere gli assalti degli avversari. Per il futuro duce divenne in breve una spina nel fianco, che tendeva a condizionarlo sempre di più e che pertanto doveva essere messa a tacere. Forse non intendeva proprio sopprimerlo , ma questo non potremo mai saperlo, forse voleva che le sue minacce fossero più concrete di un avvertimento, sta di fatto però che Matteotti finì con il soccombere non tanto politicamente, ma fisicamente.
Franzinelli nel suo bel saggio tende a togliere quell’alone di mito imputabile soprattutto alla fine violenta del politico polesano, restituendo invece la figura di un uomo di ampi meriti non strettamente legati alla sua opposizione al fascismo, che pure è già molto, ma alla sua capacità di avere una visione dell’umanità che si potrebbe definire molto avveniristica, un uomo che intendeva dare una veste di dignità ai lavoratori senza distinzioni geografiche, insomma un’idea di universalità.
Il libro parla dei rapporti fra Mussolini e Matteotti fin da quando il primo era un membro del partito socialista, il che lascia intendere che entrambi si conoscessero assai bene; proprio tale circostanza giustifica la preoccupazione del secondo per una vendetta del primo dopo il suo discorso alla Camera dei Deputati del 30 maggio 1924 con cui contestava i risultati elettorali del 6 aprile guastando così la festa del primo ormai convinto di vedere trionfare il fascismo. Assai probabilmente Mussolini la prese come la massima delle offese, ragion per cui Matteotti che, nonostante fosse solo, combatteva strenuamente, doveva essere messo a tacere, così che passarono pochi giorni e il 10 giugno scattò la vendetta.
Franzinelli va oltre la morte di Matteotti, parla delle indagini, di tutte le fasi successive a un delitto di cui ancor oggi si prova l’orrore, con una completezza di grande valore, non disgiunta da un ‘esposizione che privilegia la concretezza alla prolissità.
Da leggere, quindi.

Fumana - Paolo Malaguti

Fumana è come viene chiamata la nebbia nelle zone del Po prossimo alla sua foce. E lì certamente, soprattutto in autunno, anche per l'abbondanza d'acqua spesso stagnante, la nebbia non manca mai, ma non è questo fenomeno atmosferico il protagonista del romanzo, è solo un aspetto della natura che smorza i colori, attenua i rumori, rende difficile vedere all'intorno quando si cammina..
Fumana infatti è il nome di una femmina che, partorita con difficoltà, rimane subito orfana, perché la mamma muore e il padre fugge, non si sa dove, ma senza più ritornare. Le è rimasto un unico parente, il nonno, chiamato Petrolio, e provvede lui ad allevarla, benché inesperto; l'uomo conduce una vita povera, ma libera, andando a pescare nei numerosi canali in cui si divide il grande fiume prima di affondare nell'Adriatico e, per non lasciare sola la bimba, a cui verrà dato il nome di Fumana in quanto attratta irresistibilmente dalla nebbia, la porta con sé sul suo sandolo. Lei cresce così, pescando con la fiocina e conoscendo quel mondo così selvaggio che la circonda. Vivere prendendo pesci sembrerebbe il suo destino, ma non è così, perché lei è una predestinata, una strigossa e lì al paese, Voltascirocco, ce n'è già un'altra, la Lena, che ha votato la sua vita a curare con segni e con erbe gli altri, senza pretendere di essere pagata, accettando al più qualche omaggio in natura. E Lena insegnerà il mestiere a Fumana, vero e proprio punto di svolta del romanzo che pagina dopo pagina si fa sempre più interessante. E' così che Malaguti ci racconta la vita di una donna libera e altruista dalla sua nascita nel 1882 fino alla sua fine, tanti anni con ancor più tanti eventi, come nascite, morti, amori, guerre, sviluppo industriale, piene del Po, perdita delle tradizioni. Per lo più, almeno per quanto concerne i grandi fatti, sono cose che conosciamo già, ma che viste dagli occhi di Fumana assumono evidenze diverse, raccontano di una storia vista dal basso, dagli umili in un piccolo contesto quale è Voltascirocco, perché al di là dell'attività di guaritrice della strigossa c'è un cuore che palpita, c'è un desiderio di amore immenso di una donna che è fiera di essere libera, che trova se stessa nella natura che la circonda, nelle nebbie da cui sembrano giungere voci strane, voci di chi non c'è più. Forse è un sogno, ma Fumana non è pazza, Fumana riesce ad arrivare a una trascendenza che a pochi è riservata.
Ci sono pagine di grande bellezza in cui sembra di udire il sospiro dell'acqua, i richiami degli uccelli, il gracidio delle rane, il respiro del vento, ma soprattutto c'è lei, Fumana, un personaggio che affascina, creato abilmente dall'autore.
Il romanzo è veramente bello, per non dire stupendo, e probabilmente il migliore di quelli che ho letto scritti da Malaguti.

La montagna nel lago - Jacopo De Michelis

Non so se Montisola sia l'isola lacustre più grande d'Europa, ma quello di cui sono certo è che è un luogo molto bello, che mi è piaciuto immediatamente ancora prima di visitarlo, transitando in auto sulla strada litoranea che attraversa Sulzano, il paese sulla terraferma da cui parte il traghetto che ho poi preso per approdarvi. La si vede bene da lontano, nella parte superiore del lago d'Iseo, più imponente che ridente, un sasso scagliato da un ciclope, o meglio ancora una montagna che emerge dalle acque del lago. E La montagna nel lago è il titolo del bel romanzo giallo che ha scritto Jacopo De Michelis, 576 pagine di un ritmo quasi sempre serrato, che avvincono il lettore dalla prima all'ultima. Se la trama è più che masi convincente, non si possono che apprezzare le descrizioni del paesaggio e dell'atmosfera di questo posto, che sembra completamente isolato dal mondo. La vicenda inizia con il ritrovamento di un uomo non più giovane che era scomparso, ferito gravemente per le torture subite, ancora in vita, ma che morirà nel giro di pochi minuti, senza fornire indicazioni su chi gli ha fatto così del male. La vittima è Emilio Ercoli, il riccone del paese che si è fatto una fortuna non si sa come, più temuto che stimato, ma che sembrerebbe non avere nemici, tranne Nevio Rota, un pescatore del luogo e ovviamente i sospetti si addensano su di lui. E' per difenderlo che ritorna il figlio Pietro da Milano dove è rimasto dodici anni cercando di trovare il successo come giornalista di un grande quotidiano e invece conducendo una vita stentata e di ben poche soddisfazioni, poiché l'unico lavoro che ha trovato è stato quello di scrivere come freelance articoli per un periodico di cronaca nera. Poi la trama, ben strutturata, si sviluppa secondo un criterio logico senz'altro apprezzabile, alla vana ricerca di un altro sospetto onde sviare le indagini su Nevio Rota. E' una figura interessante Pietro, in un certo senso un fallito, pieno di debiti e che sniffa anche coca, un uomo deluso, ma che tuttavia troverà nell'indagine che svolge congiuntamente con un amico agente della polizia municipale l'occasione per il suo riscatto. Mano a mano che si procede emergono personaggi sospetti che si rivelano poi piste sbagliate, ma soprattutto si innesta un aspetto storico legato alla seconda guerra mondiale quando a Montisola, dopo l'8 settembre 1943, era giunto Junio Valerio Borghese, il famigerato comandante della Decima Mas, eleggendo la località a suo feudo personale.
Alla fine i colpi di scena si susseguono e si arriva alla verità, talmente logica che ci si chiede come mai non la si sia vista prima, ma anche quando si scoprirà l'autore del delitto c'è spazio per un'ulteriore sorpresa, che ovviamente non svelo, ma che posso definire un colpo di genio dell'autore.
Non aggiungo altro, se non la raccomandazione di leggere questo romanzo, perché merita ampiamente.

Oliva Denaro - Viola Ardone

Corrono gli anni ‘60, l'Italia, uscita distrutta della guerra, è stata ricostruita con i sacrifici e l'operosità dei suoi abitanti, comincia il famoso boom economico. Di pari passo con le migliorate condizioni di vita subentra una nuova mentalità, in cui le donne possono aspirare a essere considerate alla stregua degli uomini, ma non è così dappertutto, perché in molte zone del Sud vige ancora una concezione maschilista, in particolare quella che consente il matrimonio riparatore, del resto previsto dall'allora vigente art. 544 del Codice penale, che estingue la pena della violenza sessuale qualora il soggetto incriminato porti all'altare la vittima. La mentalità di subordinazione delle femmine è tale che è una pratica assai diffusa, eppure c'è chi si ribella, come nel caso di Franca Viola e Viola Ardone prende spunto da questa presa di coscienza per scrivere un romanzo in cui la protagonista afferma la sua personalità. E' quasi superfluo che dica che lei finirà per apparire la svergognata e tale è considerata soprattutto dalla madre (usa ripetere: la femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia) che è una conservatrice estrema, mentre la ragazza troverà un insperato appoggio proprio in un uomo, nel padre, che non è il padre padrone, bensì colui che desidera solo la felicità della figlia. Sarà lui a sostenerla nella decisione di opporsi al matrimonio riparatore, un aiuto certamente non scontato, ma anche logico, perché normalmente nelle figlie spesso si rispecchiano le caratteristiche del genitore.
Oliva Denaro è un romanzo crudo, un'opera che vuole dare un'impronta ben precisa affinché, al di là del caso specifico, alle donne sia riconosciuta la loro personalità e Viola Ardone lo fa con una scrittura asciutta, senza tanti fronzoli e non potrebbe essere altrimenti, perché è vero che si tratta di un parto di fantasia, ma ci sono state tante, troppe donne che hanno subito un torto grave come Oliva Denaro e non hanno saputo, né potuto ribellarsi.
La libertà è un bene inalienabile che quando manca si deve conquistare, costi quel che costi, e che quando c'è deve essere difeso fino all'estremo.
Non ha il pathos del Treno dei bambini, ma è un romanzo eccellente, sia per il tema svolto, sia per la capacità che ha la narratrice di coinvolgere, soprattutto le donne, ma anche quegli uomini che credono che la libertà non abbia sesso, né colore della pelle.

L'ultimo re - romanzo di Bernard Cornwell

Bernard Cornwell è un noto autore di romanzi storici e che è riuscito a dare vita a quattro serie di grande successo: Le avventure di Richard Sharpe, Il romanzo di Excalibur, Alla ricerca del Santo Graal e Le cronache dei Sassoni. Il primo libro di quest'ultima è L'ultimo re e parla delle vicende del conte Uhtred da quando aveva dieci anni fino a quando ne ha venti; il riferimento al periodo storico è quello compreso fra l'866 d.C. e l'876, quindi nel primo medioevo. La trama è particolarmente avvincente, anche se intricata e complessa, e proprio per questo, e anche per non togliere il piacere di chi vorrà leggere, non aggiungo altro, limitandomi a dire che è il passaggio dalla fanciullezza all'età adulta di un predestinato al comando e al ruolo di guerriero.
La vicenda, grazie all'abilità dell'autore, è notevolmente accattivante, con tutto un susseguirsi di avventure, di scontri armati, di paesaggi ben descritti e con protagonisti che non si dimenticano facilmente e che fra l'altro sono esistiti veramente, tranne Uhtred e il capo normanno Ragnar che di fatto lo ha adottato dopo averlo catturato in una battaglia in cui è morto il padre legittimo. Qua e là nella narrazione affiorano le rovine degli edifici romani, che sembrano quasi essere le testimoni di uno scontro fra titani per impadronirsi della terra degli Angli.
L'opera ben si presta a una trasposizione cinematografica e infatti i romanzi della serie sono stati utilizzati da Netflix per la fortunata serie tv “The Last Kingdom” e per il film “The Last Kingdom: sette re devono morire”.
In questo L'ultimo re c'è anche uno spazio, breve, per una una vicenda d'amore e invece molto più presenti sono gli aspetti religiosi, con la presenza del cristianesimo ormai imperante sull'isola, contrapposto al paganesimo dei danesi invasori, paganesimo che tuttavia riaffiora, come un antico retaggio, anche nelle popolazioni locali, benché da tempo convertite.
Il romanzo mi è piaciuto e credo proprio che leggerò anche i successivi, almeno fino a quando soddisfaranno la mia curiosità e potranno costituire un piacevole e istruttivo passatempo.

La nobilissima - Luca Azzolini

Galla Placidia (Costantinopoli, 388/392 – Roma, 27 novembre 450 d.C.), figlia dell'imperatore Teodosio e della sua seconda moglie Galla. Di fatto divenne imperatrice dell'impero romano d'occidente in forza della sua qualifica di reggente del giovanissimo figlio Valentiniano III, che lei stessa pose sul trono. Visse in un periodo particolarmente turbolento della storia di Roma, una Roma ormai avviata inesorabilmente alla sua fine, in un lungo periodo di decadenza fatto di congiure, corruzione, voltafaccia e guerre non solo contro nemici esterni.
Se l'epoca richiedeva un uomo al comando dal polso fermo, ma duttile, cioè capace di piegarsi come una canna senza spezzarsi, Galla Placidia interpretò al meglio il suo ruolo, fu donna, amante, imperatrice, artefice di vittorie come il più grande degli uomini.
Luca Azzolini parla di lei con questo suo La Nobilissima, di fatto una investitura di legittima erede del padre Teodosio mentre lei era nata da poco, racconta della sua vita, tribolata come poche, destinata a un grande avvenire che lei, consapevole, cercherà di concretizzare dando il meglio di se stessa. Non ha scritto un saggio storico, ma un romanzo storico, caratterizzato da una stretta aderenza ai fatti che la videro protagonista, riuscendo a dare al lettore una visione disincantata, ma anche appassionata di una figura da vera e propria eroina.
L'ambientazione e le atmosfere sono rese al meglio, tanto che si respira l'opprimente aria di una corte dove il continuo complotto e il tradimento sono di casa; se poi consideriamo lo stile, per niente aulico, ma concreto, senza tuttavia essere povero, è possibile comprendere il motivo per cui questo romanzo riesce ad attrarre il lettore, con un crescente desiderio di conoscenza alimentato anche dal carattere avventuroso della trama.
Da leggere, quindi, senza dubbio.

Lo chiamavano Alpe Madre - Loris Giuriatti

Di Loris Giuriatti avevo già letto La tormenta di San Giovanni, di cui non ho scritto nulla, perché non mi piace stilare stroncature, dato che l' avevo trovato un lavoro tutt'altro che ben riuscito. In particolare avevo rilevato la descrizione superficiale dei protagonisti e lo stile per niente evoluto, tanto da assomigliare allo svolgimento di un tema di un alunno delle scuole elementari. Tuttavia, mi ero ripromesso di leggere qualcosa d'altro, perché un'opera infelice è sempre da mettere in conto nella produzione di uno scrittore ed ecco che allora ho deciso di dare un'ulteriore opportunità, scegliendo questo Lo chiamavano Alpe Madre. Dico subito che ho rilevato un miglioramento, tale da renderlo un romanzo sicuramente più leggibile, trovando però conferma i difetti che avevo in precedenza riscontrato.
Nel romanzo ci sono le storie, relative a epoche diverse, di un amore delicato sbocciato fra il cameriere di Francesco Giuseppe e un'italiana dama di corte della moglie dell'erede al trono agli inizi della Grande Guerra e la ricerca di una verità, relativa a questi due innamorati, da parte un gruppo di amici insediati sul Monte Grappa. La vicenda in sé si presenterebbe interessante, ma come spesso accade non bastano le idee buone, occorre essere capaci di svilupparle e qui purtroppo emergono le non eccelse capacità dell'autore. In una struttura sostanzialmente debole, con uno stile ancora una volta scolastico, i protagonisti che hanno il difetto di essere o solo buoni o solo cattivi si muovono con un certo impaccio dando luogo anche a situazioni paradossali come quella che vede, di punto in bianco, l'incontro nella terra di un nessuno di un capitano austriaco e di uno italiano, usciti dalle loro trincee per fare due chiacchiere, idea non pessima, purché fosse stata preceduta da un'adeguata preparazione, così che la conversazione dei due due fosse stata la logica conclusione di eventi precedenti. Non parliamo poi dell'ingegnoso sistema dei quadretti per comunicare nel corso della guerra fra l'ex cameriere, ora capitano, e la dama di corte, un'invenzione che mi è parsa del tutto puerile. La storia poi piano piano diventa un vero e proprio giallo, la cui soluzione tuttavia è fin troppo semplicistica. E' un peccato perché l'idea era buona, è stato lo svolgimento incapace di realizzarla. Di positivo ci sono le belle descrizione dei panorami e la difesa di un certo modo di vivere, quello dei montanari, più a portata d'uomo di quello delle pianure, pagine esposte con naturalezza e che si contrappongono a idee pacifiste del tutto retoriche e mai approfondite.
Si legge e già non è poco, ma i limiti son ben presenti e hanno il loro non trascurabile peso.