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La sartoria di via Chiatamone - Marinella Savino

Non è stato il piazzamento da finalista al Premio Calvino che mi ha indotto a leggere questo libro, bensì l´ultima di copertina che parla di una donna dalla eccezionale forza d´animo nella città di Napoli durante la guerra. Quindi la presenza di un personaggio altamente positivo nel dramma della seconda guerra mondiale ha costituito per me l´incentivo per acquisire questo romanzo. Purtroppo, già dall´inizio della lettura mi sono imbattuto in un particolare che mi ha mal predisposto, vale a dire i dialoghi dei personaggi nel dialetto napoletano che ogni tanto usa anche la voce narrante. Qualcosa sono riuscito a capire, per altre sono andato a senso, per non poche frasi mi sono arreso. Mi chiedo che logica ci possa essere nel fatto che un narratore italiano non scriva nella nostra lingua, ma in un dialetto locale, anche se abbastanza conosciuto. Per un appassionato di letteratura come me arrivare all´ultima pagina è stata una fatica non indifferente e pur tuttavia sono riuscito a comprendere le intenzioni di Marinella Savino, e cioè narrare una saga familiare in capo a un personaggio notevolmente positivo nello scenario, prima incombente, poi presente, di un conflitto sanguinoso. Nello scopo c´era tanto materiale da trattare, si presentavano tante opportunità per non dico scrivere un romanzo del livello di La Storia, di Elsa Morante, ma comunque un´opera che parlasse della tragedia della guerra non in modo convenzionale. E invece a Marinella Savino sfugge la misura nel descrivere i drammi che finiscono per coinvolgere ben poco chi legge. I bombardamenti così diventano la materia prima per affermare la generosità della protagonista e di suo marito, encomiabile indubbiamente, ma senza che si possa arrivare a comprendere l´evidente dilemma dei due fra il desiderio di aiutare e la paura di sobbarcarsi così un onere eccessivo. Ci troviamo di fronte al classico caso che non ci sono vie di mezzo, come invece nella realtà, o buoni solo, oppure solamente cattivi, per quanto questi ultimi siano sullo sfondo rappresentati impersonalmente dai gerarchi fascisti e dalle truppe tedesche di occupazione.
Concludo quindi rilevando che alle buone intenzioni poi non sono corrisposti i fatti per concretizzarle, ma sarebbe stato, secondo me, comunque un romanzo accettabile se non presentasse il già evidenziato difetto della difficile leggibilità per il ricorso continuo al dialetto, purtroppo non sempre comprensibile. E´ questo senza dubbio l´elemento negativo più evidente e che svilisce marcatamente l´opera.

Il segno di Attila - Guido Cervo

Ho letto ormai pressoché tutto della non trascurabile produzione di Guido Cervo, autore di romanzi ambientati in epoche diverse, opere di cui sempre ho potuto apprezzare la fondatezza storica e l´assenza di eccessi nella creatività, sia per quanto concerne i personaggi realmente vissuti, sia per quanto riguarda quelli frutto esclusivamente di fantasia. In questo libro, Il segno di Attila, si occupa della guerra fra unni e romani, in piena decadenza dell´impero che ha già subito parecchie invasioni barbariche e che addirittura nel 455 ha patito il sacco di Roma da parte dei vandali di Genserico, allorché la città non era più da tempo capitale dell´impero, essendo divenuta tale nel 402 Ravenna, dove Onorio trasferì la sua corte per le maggiori capacità di difesa offerte dal nuovo insediamento. In effetti, l´occidente romano sembrava diventato facile terreno di conquista, consentendo a barbari provenienti dal Nord e dall´Est di erodere piano piano i territori che erano stati parte dell´impero. Una minaccia particolarmente pericolosa veniva dagli Unni, il cui re Attila si era messo in testa di occupare la Gallia, desideroso di impalmare Onoria, sorella dell´imperatore Valentiniano III, in ciò spronato da un desiderio espresso dalla stessa di essere liberata dall´ambiente oppressivo di corte. Attila di certo equivocò, perché a Onoria non era mai passata per la mente l´idea di unirsi in matrimonio con il potente re degli Unni. Agli inizi della guerra i feroci Unni dilagarono in Gallia, ma poi si trovarono di fronte il magister militum Flavio Ezio, che riuscì ad avere come alleati i visigoti e altre tribù germaniche. Lo scontro avvenne il 20 giugno del 451 ai campi Catalaunici e la vittoria arrise ai romani, ma Flavio Ezio evitò di ottenere un risultato schiacciante, nel timore che l´annientamento degli Unni potesse di fatto rafforzare notevolmente i Visigoti. Fu un errore gravissimo, perché l´anno dopo Attila rivolse le sue mire sull´Italia.
Come al solito, grazie al suo stile, mai ampolloso, conciso, senza essere eccessivamente breve, Cervo ha confezionato un romanzo che si legge con vero piacere, un puro e appagante svago che mi ha tenuto compagnia nelle ore torride di un´estate più tropicale che italiana. Quel che stupisce nel romanzo è la capacità di coinvolgimento del lettore, che si sente attratto, oltre che dalla trama, dalla personalità dei protagonisti, veramente indovinati, e per non farci mancare niente Cervo è riuscito anche a inserire una passione amorosa, che è ulteriore motivo di conflitto fra l´unno Balamber e il romano Sebastiano.
Per quanto ovvio Il segno di Attila è più che meritevole di lettura.

Stirpe selvaggia - Eraldo Baldini

Stirpe selvaggia è la storia di un’amicizia fra tre bambini coetanei di nove anni, Mariano, Rachele e Amerigo, quest’ultimo concepito in America nel corso di un fugace rapporto della madre con Buffalo Bill; sullo sfondo ci sono i boschi dell’Appennino bolognese, carichi di leggende che li rendono esseri animati, ammantando il tutto di un alone magico. La trama inizia nel lontano 1906 e finisce nel novembre del 1944, un arco di tempo di particolare rilievo nella prima metà dello scorso secolo. Il paesino dove vivono i tre bimbi, San Sebastiano in Alpe, è popolato da personaggi indimenticabili e ricorda un po’ la Macondo di Gabriel García Márquez, sebbene in veste italiana e per certi aspetti migliore di quella uscita dalla penna del narratore colombiano.
In mezzo secolo, con la presenza di due guerre, c’è molto da raccontare anche riguardo a quel piccolo borgo montano, ma soprattutto c’è il grande valore dell’amicizia, capace di superare tutte le difficoltà, tanto che anche quando le circostanze, gli eventi separeranno i tre ragazzi, ormai diventati adulti, loro sapranno poi ritrovarsi, suggellando con un atto di eroismo quel lontano sentimento che li ha sempre accomunati.
In 298 pagine Baldini dice tanto, parla di un Italia in itinere, un paese che non ha ancora trovato la sua via da percorrere unito, un popolo con le accentuate differenze sociali che portano inevitabilmente a dei disordini; poi c’è la tragedia della Grande Guerra, da cui Amerigo, ormai chiamato Bill in virtù del padre, che peraltro non l’ha riconosciuto, e Mariano, entrambi arditi, torneranno, per quanto feriti, con il secondo addirittura privato del braccio sinistro. I giorni e gli anni corrono e se Bill è sempre in cerca di giustizia, il che finirà per metterlo nei guai, Mariano coglierà l’opportunità offerta dall’iscrizione al partito fascista.
Benché divisi politicamente resteranno sempre amici, pronti ad aiutarsi come accadrà nel novembre del 1944 in un finale di grande pathos, ma il pathos non è solo lì, l’emozione è dietro l’angolo in ogni pagina, con le poetiche descrizioni della natura, con i personaggi che ricordano i folletti, come il mingherlino Ercole e la gigantesca moglie Cristofora, oppure come l’albino Giovanni, un campionario di varia umanità che tiene sospesa la narrazione fra realtà e fantasia, un difficile equilibrio che però non viene mai meno.
E’ bravo Eraldo Baldini, ha una scrittura pregevole, esauriente senza che si trasformi in pignoleria, con un ritmo costante che chissà perché mi ricorda quello dei valzer, e forse è così, perché in fondo il romanzo sancisce la fine di un’epoca, chiamata Belle Epoque, felice per pochi, perché i proletari vivevano sempre alla giornata. Prima c’è stata la Grande Guerra, poi il fascismo, poi la seconda guerra mondiale, tutto in nemmeno cinquant’anni, tutto che cambia, tranne una indistruttibile amicizia fra tre coetanei cresciuti insieme, tre protagonisti sicuramente indimenticabili.
Stirpe selvaggia è un capolavoro.

L'aquila sul Nilo - Guido Cervo

Delle notevoli capacità di Guido Cervo ho avuto ampia prova in più occasioni, in romanzi storici ambientati in epoche diverse, ma tutti egualmente avvincenti, scritti in un italiano impeccabile e con uno stile che non solo non affatica il lettore, ma che lo affascina. Tuttavia, come sempre, pur nell´eccellenza, c´è sempre qualcosa di più della stessa ed è questo il caso di L´aquila sul Nilo, un´opera che non è solo frutto di pura fantasia. Infatti la ricerca delle sorgenti del Nilo fu disposta da Nerone e la spedizione che ne seguì, comandata da due centurioni dei pretoriani, si svolse tra il 61 e il 62 d.C.; come accadde in realtà, anche per la limitatezza dei mezzi impiegati per un´impresa ancor oggi di particolare complessità, il risultato non venne, o meglio gli esploratori poterono solo percorrere una parte, anche se significativa, dell´intero percorso. Il libro di Guido Cervo ci parla di questa spedizione dando spazio a un´ampia creatività, pur in presenza di elementi, quali località, popolazioni, eventi dell´epoca che sono veritieri. I protagonisti sono senz´altro ben azzeccati, descritti anche nel loro carattere con poche efficaci parole; troviamo così i due pari grado Marco Damazio e Gaio Terenzio, diversi per carattere, ma ugualmente bravi e atti al comando, il tribuno Marco Valerio, comandante del piccolo contingente di legionari di stanza a Meroe, capitale della Nubia, lì presente dopo aver aiutato quel regno in una difficile guerra, la bellissima ed enigmatica regina Amanikatashan. La descrizione della navigazione sul Nilo, delle avventure e disavventure incontrate in quella via terra, i panorami di un mondo così diverso dal nostro, le languide albe e i caldi tramonti finiscono con l´avvincere il lettore, poco a poco lo rendono partecipe di fatiche immani, gli fanno percepire l´odore dolciastro del sangue, gli incutono i timori e le paure che effettivamente devono avere provato quegli esploratori. Fra tribù amiche e altre ostili, incalzati dagli antropofagi i membri della spedizione, in numero sempre più ridotto per decessi dovuti a febbri malariche o ad aggressioni degli indigeni, proseguono per la gloria di Roma. In questo quadro, di per sé già importante, si inseriscono poi l´amore di un tribuno per la bellissima regina dei nubiani e la guerra che questa deve sostenere contro un tentativo di usurpazione. Ci sono battaglie sanguinose descritte mirabilmente, ma anche scene di intimità coinvolgenti e descritte con mano felice e leggera, insomma tutto quanto si può desiderare in quello che senza ombra di dubbio può essere considerato un romanzo veramente bello e senz´altro, se non il migliore, uno dei migliori fra quelli scritti da Guido Cervo, l´ideale per trascorrere ore piacevoli entrando a far parte di un sogno a occhi aperti.

Croce e il fascismo - Mimmo Franzinelli

I rapporti fra Benedetto Croce e il fascismo costituiscono una storia di particolare interesse che la penna di Mimmo Franzinelli con questo suo saggio fa diventare affascinante. Di questo autore ho già apprezzato i suoi scritti sul fenomeno del fascismo e mai avrei pensato che andasse a indagare sull´attività del filosofo abruzzese, benché sia a tutti noto come nel ventennio abbia rappresentato l´unica voce libera e indipendente espressa sul suolo italico. Certo, Benedetto Croce era un intellettuale di primo piano, di notevole prestigio internazionale, a cui il regime accordò una certa libertà di espressione, non solo per il carisma che era proprio del filosofo, ma anche perché così manteneva la speranza di poterlo avere un giorno fra i suoi esponenti, rappresentando quella figura indispensabile per dare una patina ideologica e culturale a un movimento che invece lì aveva delle notevoli carenze. Il libro di Franzinelli è ben strutturato e ripercorre le varie fasi di avvento, di consolidamento e infine di decadenza del fascismo, ovviamente tenendo conto dei rapporti instaurati con Benedetto Croce che agli inizi, da buon liberale, vide in Mussolini e nei suoi seguaci l´irripetibile occasione per frenare la possibilità di un avvento del comunismo in Italia; in tal senso appoggiò il fascismo, arrivando perfino a votare la fiducia al governo Mussolini successivamente all´uccisione di Giacomo Matteotti. Al riguardo diede una giustificazione del suo comportamento non proprio convincente, che anzi definirei puerile, tanto più che era consapevole che ormai si andava verso una dittatura, che lui era convinto fosse necessaria, ma di carattere temporaneo e comunque passibile di facile rimozione. E´ solo quando scrisse Il manifesto degli intellettuali antifascisti, apparso sul quotidiano Il Mondo il 1° Maggio 1925, che fece chiarezza sul suo comportamento, in precedenza abbastanza ondivago, il che mi induce a pensare che come filosofo fosse indubbiamente valido e coerente, mentre come politico cercasse solo di galleggiare in una successione di fatti che rispondevano sempre meno alle sue aspettative. E´ evidente che con la pubblicazione di quel manifesto Croce fece la sua scelta e fu una scelta di civiltà e di libertà. Inoltre ciò indusse molti giovani a considerarlo come un padre putativo della loro lotta non sola politica alla dittatura, e fra questi valga un nome per tutti, e cioè Piero Gobetti.
Per le masse non costituì un faro proprio per la loro limitata istruzione e fu anche questa una delle ragioni per le quali il regime lo tollerò, convinto che fosse meglio non trattarlo alla stregua degli altri antifascisti, anche perché aveva in tal modo la possibilità di sapere chi era in contatto con lui, anche solo epistolare, e quindi di esercitare tutti quei controlli che sono propri della polizia politica di una dittatura.
Lo scritto di Franzinelli è veramente completo e, benché si sapesse che Croce non fosse di certo un razzista, riporta tutto il suo impegno nell´opposizione alle leggi razziali che interessarono gli ebrei, impegno che non solo non fu irrilevante, ma che risultò ampiamente superiore a quello di altri intellettuali.
Ormai sono diversi i saggi che leggo scritti dal saggista bresciano e trovo una costante ampiezza di esposizione, pur su un percorso di una apprezzabile linearità, al punto che alla fine si può affermare in tutta tranquillità di essere stati resi edotti in modo approfondito e anche piacevole, senza la grevità che caratterizza non pochi testi storici.
Quindi la lettura di Croce e il fascismo è da me senz´altro consigliata.

Messia di Dune - Frank Herbert

3/5
Questo libro conferma la mia idea sul precedente libro "Dune". Sicuramente ci sono molti appassionati di questo Ciclo, ma ho trovato sia il primo libro sia il secondo poco scorrevoli, pieni di riflessioni sul rapporto politica-religione, sulla libertà e la tirannia, sul destino (spunti di per sè interessanti ma esposti secondo me in modo poco chiaro), ma mancava sempre quella scintilla nella narrazione e nei dialoghi che permettesse di sentirsi vicini ai personaggi e al loro tumulto interiore. "Messia" è più scorrevole del primo volume, ma dopo averlo finito non sono interessata a proseguire con la lettura delle opere successive che completano il Ciclo.

R: Se esiste un perdono - romanzo di Fabiano Massimi

A Massimi fa riconosciuto il merito di aver portato a conoscenza di molti italiani la figura di Nicholas Winton, che, unitamente a Doreen Warriner e Trevor Chadwick, portò in salvo in Gran Bretagna 669 bambini, in buona parte ebrei, con trasporti in treno dalla Cecoslovacchia dalla fine del 1938 agli inizi del 1940.
L´autore, per far questo, pur attenendosi ai fatti, ha imbastito un romanzo storico, ove ovviamente sono presenti i tre personaggi di cui ho appena fatto il nome, nonché altri, che presumo in buona parte di fantasia. Per non far mancare un ulteriore motivo di tensione ha poi inventato una protagonista che narra la vicenda, tale Petra Linhart, una donna giovane, ma intrepida, che collabora attivamente alla riuscita dei trasporti, ma che ha un difetto per nulla trascurabile, cioè fa il doppio gioco. Finge infatti di essere rimasta vedova e di aver perso il figlio che aveva in grembo per colpa dei nazionalisti boemi filo tedeschi, e invece è accaduto il contrario, perché sono stati i nazionalisti anti tedeschi a provocare la morte del marito e il conseguente trauma che le ha fatto perdere il nascituro; così lei lavora con dedizione, ma riferisce alla Gestapo. Questo frutto della creatività poteva essere il fiore all´occhiello del romanzo se Massimi fosse stato capace di andare in profondità nella personalità della doppiogiochista e invece è rimasto abbastanza in superficie, come ha fatto anche per gli altri protagonisti che sono tanti, direi troppi e che in una serie di eventi finiscono con l´intorbidire l´acqua, con il diluire troppo la necessaria tensione che presenta una vicenda come questa. Anche la figura della bambina del sale, enigmatica, quasi magica, non è ben delineata e da protagonista centrale diventa quasi una comprimaria. A voler essere sintetici direi che, mettendo troppa carne al fuoco, la cottura è diventata assai difficile e il risultato non è certo dei migliori. E´ un peccato, perché L´angelo di Monaco, precedente a questo, mi aveva colpito per la sua straordinaria bellezza, mentre Se esiste un perdono è sì leggibile, ma di sicuro non resterà fra i libri meritevoli del mio ricordo.

Fermate il boia - Agatha Christie

E´ indubbia la capacità di Agathe Christie di cambiare le caratteristiche dei suoi protagonisti: con Miss Marple entra in gioco l´intuito, il particolare intuito femminile, grazie al quale si riesce a incastrare il colpevole; con Hercules Poirot invece è una fitta e intricata ragnatela che l´investigatore costruisce intorno a sé, una sorta di bozzolo, dal quale, svolgendo il filo, si viene a capo di un delitto. In entrambi i protagonisti c´è una caratteristica comune: non sono sposati, non è che conducano un´esistenza solitaria, semplicemente non hanno inteso legarsi a qualche altro essere umano, e il fatto strano è che non era dello stesso avviso la giallista inglese, visto che si sposò ben due volte.
Fermate il boia è un classico esempio di quello che ho appena scritto relativamente a Poirot ed è una vicenda all´inizio apparentemente semplice, con l´ispettore Spence che, nonostante abbia assicurato alla giustizia l´assassino di una vecchietta, apparentemente per rapina, si lascia prendere dai dubbi perché la colpevolezza del reo non è basata su prove regine, ma su indizi, e di ciò rende edotto Poirot, chiedendogli di investigare, con una certa fretta però, visto che il colpevole è stato condannato all´impiccagione e che il giorno dell´esecuzione è abbastanza vicino. Da quel momento tutto ciò che sembrava semplice diventa ogni giorno più complesso e lo stesso detective belga comincerebbe a dubitare dell´innocenza del colpevole assicurato alla giustizia e pronto a essere messo nelle mani del boia se a una stazione ferroviaria non ricevesse una spinta per farlo investire da un treno, afferrato per fortuna all´ultimo momento da un soldato.
Diciamo che è una storia di donne in un paesino, ma i prodromi dell´azione delittuosa nascono molto prima dell´omicidio della vecchietta. In un mosaico in cui Poirot incastra le pietruzze una a una si arriva finalmente all´ultima e alla soluzione del caso, che prima vede un´altra vittima.
L´esito positivo dell´indagine, per quanto raggiunto fra notevoli complicazioni, è comunque logico e il lettore non potrà che apprezzarlo, anche perché - sempre che ovviamente sia particolarmente attento - ha la possibilità di giungervi insieme a Poirot grazie a una serie di indizi che Agatha Christie fa trapelare.
Quindi, la lettura è più che soddisfacente, consente di trascorre piacevolmente alcune ore, mettendosi addirittura in gara con l´investigatore belga per arrivare alla soluzione.

Amarcord Mantova - Renzo Dall'Ara

A consigliarmi la lettura di questo libro è stata mia cugina che, nata alcuni anni prima di me, ha ritrovato nelle pagine un po´ del suo passato, perché Amarcord Mantova è una specie di autobiografia dell´autore, densa di eventi, di personaggi soprattutto locali, che per un mantovano è un piacere poter rammentare. In questo posso dire che il libro ha la chiave del suo successo, in questa memoria storica capace di raccontare con semplicità un mondo che progressivamente sempre più in pochi ricorderemo; tuttavia farei un torto a Renzo Dall´Ara se gli riconoscessi solo questi meriti, perché in realtà, grazie ai suoi molteplici interessi, anche molti non mantovani possono avere un gradimento nello scorrere le pagine che fluiscono costanti come un grande fiume, come appunto il Po che solca queste terre virgiliane.
Renzo Dall´Ara era nato a Mantova il 2 maggio del 1930, in Via Tezze, una strada che nasce in Corso Vittorio Emanuele II, parallela alle vie Giosuè Carducci e Tito Speri. Il libro appunto comincia con questo lieto evento, di cui parla l´interessato, con una vena particolarmente umoristica nel descrivere l´abitazione che presenta caratteristiche di dimora popolare tipica del tempo, con il gabinetto all´esterno " Entrando dunque dal vicolo, subito sulla sinistra una piccola costruzione in muratura nascondeva il cesso: cioè un assito a far da pavimento, con al centro un´apertura circolare che delineava la sottostante fossa, recipiente il lurido latrinario. Su una parete, un chiodo piantato nel quale si infilavano pagine di giornale sezionate o foglie recuperate da vegetali vari, purché adattabili alla funzione, sommariamente igienica. " (da pag. 20).
Sono i primi anni di vita di Renzo Dall´Ara e lui come in un film ci porta per mano in una cavalcata che arriva fino al primo scorcio dell´attuale secolo (scomparirà a Milano il 3 gennaio 2020). Forse nessuno avrebbe potuto ipotizzare in quel bambinello il futuro famoso giornalista, per quanto classificarlo come tale sia riduttivo, considerati appunto i suoi molteplici interessi, che spaziavano dalle arti figurative alla musica, dalla cucina allo sport, e nel libro ci sono tutti, per quanto predominante sia quello di artefice della carta stampata, non solo locale, anche se quest´ultima ha occupato una parte tutt´altro che trascurabile della sua esistenza.
Si potrebbe dire che non ci sia stato avvenimento culturale cittadino in cui Dall´Ara non solo sia stato presente, ma che anche vi abbia figurato fra i promotori (per esempio le famose mostre allestite nella seconda metà dello scorso secolo a Mantova dedicate ad Andrea Mantegna e a Giulio Romano), ed era talmente famoso da risultare spesso indispensabile anche per l´accoglienza in città di illustri personaggi.
Come autobiografia è indubbiamente completa, si riesce ad avere un quadro nitido e anche abbastanza imparziale del personaggio, attraverso una lettura che mi è sembrata più godibile nella prima parte, per inciso quella del Dall´Ara giovane non ancora giornalista, con la descrizione dell´esperienza scolastica, della guerra, dei tragici bombardamenti aerei del 1944. Si tratta di un periodo che mancava sostanzialmente alla mia conoscenza (sono nato nel 1947) e che perciò mi ha interessato molto, ma è anche vero che la freschezza che vi ho trovato, per quello stille snello, che ammicca al sorriso, probabilmente risiede nel ricordo gioioso dell´autore per la sua età più bella.
In ogni caso Amarcord Mantova è uno di quei libri che magari non entrano facilmente nella biblioteca di casa, ma che quando sono lì, a portata di mano, è difficile, se non impossibile, liberarsene, anzi finiscono con l´essere collocati in primo piano, onde, nei momenti di malinconia della tarda età, servirsene come soccorso, restituire al nostro cuore la memoria di ciò che è stato anche per noi.
Da ultimo, data la rilevanza dell´autore, il libro è accompagnato da alcuni testi costituiti dal ringraziamento del Sindaco di Mantova, Mattia Palazzi, dalla prefazione di Paolo Boldrini e dalle testimonianze di Stefano Scansani (L´esperienza cronistica metropolitana declinata con l´arguzia mantovana) e di Anna Maria Tamassia (Il nostro amico Renzo Dall´Ara).

I meccanismi dell'editoria - Roberto Cicala

Io l'ho usato come libro di testo per un esame all'università e l'ho trovato ottimo. È scritto bene, è interessante e chiaro. Soprattutto è abbastanza recente, caratteristica importante in un settore in continuo sviluppo come quello editoriale.

La sfida del vaccino - Albert Bourla

200 pagine per spiegare l'assurdità che se una donna in 9 mesi riesce a partorire 1 bambino allora 9 donne, se si impegnano, in 1 mese riescono farne partorire 1.
Tutto il libro si concentra sulla logistica e sulle telefonate ai governi di tutto il mondo per gestire produzione e distribuzione a bassa temperatura. Particolari insignificanti sulle dimensioni di siringhe ed aghi, in cui venivano perse delle dosi e sulle date ed orari delle riunioni.
Nella produzione non è menzionato nemmeno da quali materie prime si è dovuto partire, i costi, e soprattutto il controllo qualità sia della materia prima che del prodotto finito.
Quando si presentano dei problemi in terreno americano è sempre menzionato Trump, mentre le soluzioni sono sempre merito di Biden.
Grandissime eclissi sui veri motivi di non rilasciare i brevetti anche ad altri produttori e sulle possibili controindicazioni come effetto "ADE"... libro osceno

Nevicava sangue - Eraldo Baldini

Occorre andare all´inferno e poi ritornare per poter reclamare la propria dignità di essere umano, per poter rialzare la testa e non essere più un servo della gleba. Francesco Mambelli, un mandriano di ventisei anni, che vive miseramente con la madre e con la figlioletta in una fattoria romagnola, è un uomo umile e tranquillo che si accontenta della sua condizione quasi che fosse naturale essere sottomessi a un padrone che tutto vuole e nulla dà. Il Morri, così si chiama il proprietario di quell´azienda, gli propone di sostituire il figlio nella chiamata alle armi, una proposta che è accompagnata dalla promessa di mantenere durante la sua assenza i familiari e da un congruo premio al ritorno. Se non dovesse accettare, però, ci sarebbe l´immediato licenziamento e così, con dolore, Francesco accetta, si arruola ed entra a far parte della napoleonica grande armata che si appresta a invadere la Russia. Se la marcia di avvicinamento a quel grande paese e poi la sua invasione fino ad arrivare a Mosca è già una tragedia, con le truppe in preda ai morsi della fame e a epidemie varie che le decimano, il ritorno, o meglio la ritirata, in un inferno di neve, di freddo e di fuoco, è un incubo. E´ vero, però, che certe prove fortificano gli uomini e infatti Francesco, che riesce a tornare a casa fra mille peripezie, si ritrova con l´animo indurito, ma soprattutto consapevole delle sue possibilità, e lo dimostra chiaramente nel verificare quanto accaduto in sua assenza.
Eraldo Baldini, di cui ho già letto con questo tre prose, si dimostra un narratore di razza, capace di attrarre il lettore non solo con le sue trame, ma anche con lo stile conciso, però non povero, con descrizioni di paesaggi di grande respiro, con le atmosfere, sempre attentamente confezionate, senza dimenticare la perfetta caratterizzazione dei personaggi.
L´ho scoperto da poco, quasi per caso, ma è proprio il caso di dire meglio tardi che mai, perché certi autori che inspiegabilmente non hanno ampia risonanza dimostrano spesso qualità letterarie rare a trovarsi ed Eraldo Baldini è senz’altro uno di questi.