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Remount blue - David Ross Brower
Mi sono imbattuto in questo titolo quasi per caso, perché ero alla ricerca di un saggio storico che parlasse degli ultimi mesi della seconda guerra mondiale in Italia, incuriosito peraltro da questa decima divisione di fanteria americana da montagna che ho immaginato fosse un corpo analogo a quello dei nostri alpini.
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Baci a occhi aperti. La Sicilia nei racconti di una vita
In una nota all’inizio del libro l’autore spiega che lo stesso è nato dalla richiesta di alcuni lettori, richiesta che lo ha lasciato perplesso avendo già scritto molto sulla Sicilia e che comunque ha ritenuto di esaudire mettendo insieme, nel modo più ordinato e leggibile, quanto aveva fino a ora dato alle stampe, ma togliendo qualcosa e aggiungendo qualcos’altro. Inoltre fornisce una spiegazione dello strano titolo, Baci a occhi aperti, cioè i tanti baci che ha dato alla Sicilia costringendosi a non chiudere gli occhi, assaporandone il piacere e – aggiungo io – non tacendo quegli aspetti che positivi senz’altro non sono.
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La morte delle sirene - Ben Pastor
Ennesimo appuntamento con il comandante Elio Sparziano, un personaggio indubbiamente interessante uscito dalla fertile mente creativa di Ben Pastor. In questo romanzo, la cui trama si svolge nel 306 d.C., allorché l’impero romano sta attraversando uno dei periodi più oscuri della sua lunga storia, con la lotta feroce per la successione nel passaggio dalla prima alla seconda Tetrarchia, l’imperatore Galerio affida a Elio Sparziano una delicatissima operazione diplomatica con destinatario l’ambizioso Massenzio. Il comandante, nell’attesa di essere ricevuto da lui, si ferma a Sorrentum, creduta l’antica dimora delle sirene e dove, accanto alla vicenda principale, se ne innesta un’altra, relativa s provare la colpevolezza o l’innocenza di un presunto parricida.
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Il filosofo in camicia nera - Mimmo Franzinelli
Al fascismo, per avere una consacrazione che andasse al di là del semplice spirito di un movimento, mancava una personalità, di chiara fama, che lo teorizzasse, una patente di nobiltà a cui un Mussolini, già al potere, non poteva che bramare. Del resto in Giovanni Gentile il duce trovò l’elemento adatto: di destra, ma liberale, e quindi non ancora fascista – ma lo diventerà in breve tempo – l’uomo, insegnante di filosofia, titolare di prestigiose cattedre universitarie, è il fondatore di una sua teoria filosofica, da lui denominata attualismo, che si può sintetizzare nel concetto che solo quello che si realizza attraverso il pensiero costituisce la realtà in cui il filosofo si riconosce. Non vado oltre, riguardo a questa teoria, per i miei limiti nella materia e anche perché non è lo scopo del bel saggio storico di Mimmo Franzinelli. Evidentemente parlare di questa filosofia ricollegandola al fascismo non rientrava negli scopi di Mussolini, a differenza di ciò che in effetti coniò Gentile come finalità del fascismo stesso, e cioè quello di creare un uomo nuovo, spirituale, per niente materialista e destinato a grandi imprese. E’ un bel fumo negli occhi che opportunamente inculcato nelle masse avrebbe fatto sì che le stesse intendessero come uomo nuovo Mussolini, esempio a cui tendere per dare un senso elevato alla propria vita. Come è ben noto, Giovanni Gentile venne assassinato dai Gap di Firenze il 15 aprile 1944, omicidio che fece, e fa ancora, molto discutere perché si ritiene non sia giusto punire un ideologo.
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Il mercante di Prato - Iris Origo
Chi direbbe che l’autore di Il Mercante di Prato è lo stesso di Guerra in Val d’Orcia? E invece è così, perché Iris Origo, che così bene ha tratteggiato l’esperienza personale del secondo conflitto mondiale in Val d’Orcia, ha scritto anche la biografia di questo mercante di Prato, vissuto nella seconda metà del XIV secolo, un uomo che si fa da sé e che è il prototipo del moderno mercante. Sa investire e sa differenziare gli investimenti per limitare il rischio, accumula i guadagni non per tenerli in saccoccia, ma per renderli produttivi. Formatosi ad Avignone, allorché era sede papale, è ovunque presente con filiazioni laddove esista una possibilità di commerci e di guadagni, non vive per il denaro, ma per il piacere di accrescere le proprie capacità imprenditoriali, un uomo raro anche oggi e che, in un periodo storico in cui era perfino impossibile pensare che un giorno ci sarebbero stati i computer, tiene scrupolosamente i registri contabili, ha un attrezzato un archivio della corrispondenza, insomma è uno che non teme di lasciare traccia di sé e infatti la sua corposissima documentazione è stata rinvenuta nel XIX secolo durante i lavori di restauro del suo palazzo. Iris Origo ne ha preso visione, l’ha catalogata, l’ha usata a supporto di una biografia che si potrebbe anche intitolare “Nascita del capitalismo in Italia”, e in questo senso questo libro è un testo di storia economica, fonte indispensabile per gli studiosi della materia, perché se ogni epoca ha i suoi eventi in tema, restano sempre quelle le motivazioni che portano alla nascita del capitale. Francesco Datini non avrebbe mai potuto immaginare che dopo quasi sei secoli una donna avrebbe messo meno ai suoi conti, alle sue carte, alle sue lettere per dare vita a un’opera il cui valore è senz’altro rilevante, tanto più rilevante ove si consideri che il capitalismo di Datini ha il volto umano, non è gretto, non persegue la ricchezza per la ricchezza, ma per realizzare un sogno che è in lui e che sempre l’accompagna, senza dimenticare che il materialismo di tanti oggi stride con l’umanità di un uomo che, ricco a dismisura, donò la sua immensa fortuna per opere di carità, timoroso sì di quel che avrebbe potuto trovare nell’aldilà, ma anche consapevole che la vita è fatta di dare e avere e che lui, che per la sua capacità tanto aveva avuto, era giusto che altrettanto restituisse.
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Le pietre di Pantalica - Vincenzo Consolo
La Sicilia, terra dai profondi contrasti, costituisce indubbiamente un’alcova, una culla, un rifugio sicuro a cui tornare dopo che per svariati motivi - ma quasi esclusivamente legati al lavoro - si è dovuta lasciare. Una chiara testimonianza di ciò si ha con uno dei suoi maggiori geni letterari, quel Giuseppe Bonaviri che, diventato medico cardiologo, esercitò la professione nel Lazio, ma sempre con il pensiero rivolto alla natia Mineo. Non è diverso il caso di Vincenzo Consolo, trapiantato il Lombardia, ma comunque sempre legato alla sua terra, con la presenza costante della tristezza per averla lasciata. Credo che più delle mie parole valgano le sue, tratte da Le pietre di Pantàlica (Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all’interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta di addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca.). Ed è forse questa condizione esistenziale che spinge a scrivere in un certo modo, a rivisitare in narrativa i cari luoghi che si sono lasciati. Le pietre di Pantàlica, questa raccolta di 14 racconti, ben rappresenta quella che è l’immagine del suo autore. Il lettore viene così a conoscere una Sicilia che tanto può ricordare certe novelle di Verga, con una ricchezza di personaggi dai nomi e soprattutto dai soprannomi che entrano indelebilmente nel nostro patrimonio di memoria come se fossimo noi ad averli conosciuti direttamente, e invece ci sono stati proposti da questo narratore che con uno stile altamente letterario li descrive come escono direttamente dal suo cuore, gente che spesso non c’è più, ma che sembra perennemente vivente, tanta è la vitalità che Consolo ha saputo imprimere alle sue creature. Ci sono descritti i più svariati personaggi, dal famoso fotografo Capa lanciato con il paracadute sull’isola dagli Angloamericani nel 1943 per documentare la conquista della Sicilia al frate mentecatto Agrippino Salerno, che esaurisce intensamente la sua fede religiosa in uno spirito di autodistruzione; sono presenti anche noti personaggi siciliani, fra i quali un Leonardo Sciascia che gusta grosse sigarette americane. E questi sono, ovviamente in parte, i protagonisti, e poi c’è la natura, con la descrizioni dei paesaggi che sembrano pennellate tracciate con mano ferma e forte sulla tela, come non pochi quadri di pittori espressionisti. Questo è già molto, per non dire tanto e più che bastevole per definire l’elevata qualità dell’opera, ma non è possibile dimenticare la capacità di descrivere gli aspri contrasti, ma senza violenza, con il cuore in mano; del resto la sua è una terra in cui sottomissione e potere sono le due facce di una stessa moneta, ma dove è nato ed è diventato uomo ed è per questo che prova uno sconfinato amore per la sua Sicilia, anche perché lì, nonostante il trascorrere degli anni e il progresso che vi si è affacciato, il tempo sembra immobile, tanto che è possibile ritrovare le atmosfere e i profumi della giovinezza.
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Nuto Revelli - Giuseppe Mendicino
Quel che apprezzo sempre di più negli scritti di questo autore, oltre alla passione che affiora qua e là, è la capacità di parlare di un altro scrittore e delle sue opere in modo semplice, accattivante, ma non per questo non esauriente. Se uno vuole sapere chi fosse Mario Rigoni Stern, quale importanza ha rivestito in campo letterario non deve far altro che sfogliare uno dei numerosi lavori di Mendicino sul narratore di Asiago, certo che passerà poi inevitabilmente a leggerne i libri.
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I diavoli di Zonderwater - Carlo Annese
Già me ne aveva accennato mio padre quando ero giovane nel corso di una delle rare volte in cui parlava della guerra in cui aveva combattuto e dove era stato fatto prigioniero nel febbraio 1941, una detenzione che sarebbe durata fino al 1946 soprattutto in un campo di concentramento in Sud Africa. Poi, più recentemente, leggendo Sotto la sabbia dorata, il bel libro di Daniele Astolfi che parla dell’esperienza di prigionia di Antonio Astolfi, era sorto il nome di Zonderwater, che non mi era nuovo, e infatti era il lager in cui è stato a lungo recluso il mio genitore. Da lì, facendo una ricerca su Internet, era emerso un saggio storico (appunto I diavoli di Zonderwater) su questo campo di concentramento dove erano anche detenuti Antonio Astolfi e tanti altri (complessivamente circa centomila) E’ stata immediata la necessità di leggere anche quest’opera, scritta da un giornalista della Gazzetta dello Sport e premiata con il Bancarella Sport 2010. Ebbene, mi dispiace ancor di più che mio padre, mancato nel luglio del 2011, non abbia potuto rivivere, grazie a quelle pagine, gli anni che avrebbero dovuto essere i più belli e che invece furono un periodo di dolore per la guerra e di disperata nostalgia per la casa lontana. Mano a mano che procedevo nella lettura emergevano fatti e anche nomi che non mi erano nuovi e allora con la fantasia ho immaginato tutta quella gente, compreso mio padre, in questa prigione a cielo aperto, dove, grazie alla nomina come comandante del colonnello Hendrik Fredrik Prinsloo, il paesaggio lunare del lager, costellato di tende, si trasformò radicalmente, così che in forza della naturale operosità di noi italiani furono costruiti edifici in muratura per ospitare i prigionieri, due ospedali, quindici scuole, ventidue teatri, insomma una vera e propria città. Ma oltre al fare, all’edificare, essenziale per evitare depressioni e abbrutimenti, ci furono le iniziative teatrali, sportive, come tornei di calcio, di pallavolo, di basket, incontri di pugilato, gare di atletica leggera, e ovviamente queste attività hanno trovato il loro naturale storico in Carlo Annese, giornalista della Gazzetta dello Sport. Però, se queste pratiche sportive sono preminenti nel testo, non mancano altri fatti, altre notizie, annotazioni su come si viveva, su come si mangiava (poco) e sui rapporti interpersonali. Certo il posto, povero d’acqua, donde il nome, non era molto attraente, ma occorre dare atto che le guardie e i responsabili sudafricani della struttura erano ben organizzati, dimostrandosi oltre tutto per niente degli aguzzini. Mancava la libertà e questo era innegabile, però i reclusi poterono trascorrere tanti anni senza deprimersi e questo per merito di un comandante illuminato, quel colonnello Prinsloo il cui nome non sarebbe mai stato dimenticato, associandolo a quanto di bene aveva fatto per loro. La scrittura di Annese è lineare, agile e per nulla affaticante; peccato solo che sia prevalente il tratto giornalistico, cioè la cronaca, e che in ben pochi casi si approfondisca, magari tentando un’analisi psicologica di alcuni personaggi ricorrenti.
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L'anello forte - Nuto Revelli
“ Qui si è incominciato a star meglio nel 1956-1957. Ed a star bene dal 1960, con la grande emigrazione. Uh, tanti sono emigrati, un terzo del paese. Qui nel 1952 c’erano ottomila abitanti, oggi siamo quattromilatrecento. Ecco perché ‘ste ragazze non si sposano più al Nord. Il padre tiene la pensione, la madre anche, e qualche pezzettino di terra. La ragazza custodisce i vecchi, e mangia. Invece prima… (...)Ah, qui la vita è dura per la ragazza che non si sposa. Passati i quarant’anni diventa come un pezzo di legno (…).” E’ indubbio come Nuto Revelli abbia sempre inteso dar voce ai poveri, agli umili, per portare alla luce la loro condizione che altrimenti potrebbe risultare ai più sconosciuta. Lo ha fatto con La guerra dei poveri, un conflitto visto dal basso, dove tanti poveri diavoli sono mandati al macello e che nello sfacelo di uno stato, minato alle fondamenta dalla vanagloria di pochi, ritrovano dentro di loro le radici della dignità di vivere, di quell’umanità che non è propria di chi li ha sacrificati inutilmente, esseri immondi che li hanno traditi e beffati; ne ha scritto poi con Il mondo dei vinti, vere e proprie testimonianze della vita contadina, una vita che ora non c’è più, un’esistenza misera di autentica sofferenza in un mondo dolente e pregno d’ignoranza, ma che comunque aveva dei valori oggi sconosciuti, univa persone dove oggi si dividono, trovava nel poco e nel pressoché niente il necessario per vivere.
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Il primo sole dell'estate - Daniela Raimondi
"Sono nata in un giorno di neve, con le grondaie bianche e gli uccelli fermi sui rami."
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